Il calcio parla un linguaggio autonomo. Talvolta i calciatori non hanno bisogno neppure di proferir parola nel rettangolo di gioco. Praticano un silenzio fragorosamente e rigorosamente funzionale: la parola può risultare persino superflua. Il tradizionale linguaggio formato dalle parole lascia il proprio posto a una neolingua che si concede il lusso di rifiutare le tradizioni. Il Napoli di Maurizio Sarri fa parte della categoria degli innovatori lessicali.
Il linguaggio del suo calcio è innovativo, all’avanguardia ma – al tempo stesso – è una scommessa azzeccata, fluida nel dialogo e piacevole all’estetismo uditivo. E’ un linguaggio calcistico formato da movimenti, pressing, verticalizzazioni e un giro palla da mal di testa. S’insinua in una tradizione profondamente opposta, quella italiana, e la stravolge a modo proprio diffondendo nel mondo un’immagine di anticonformismo. Rui Vitoria l’ha testato sulla propria esperienza, uscendo dal San Paolo con le ossa rotta. Poi ha avuto l’eleganza di snocciolare una sentenza veritiera che in molti fanno fatica ad accettare: “Il Napoli sta rivoluzionando la mentalità del calcio italiano”. Un linguaggio calcistico nuovo, appunto. Che segna una linea di confine tra una tradizione ormai obsoleta e un’avvenire roseo. Una tradizione tutta italiana.
Perché il tricolore in Europa viene riconosciuto da un linguaggio calcistico ritenuto rozzo e non conforme all’estetismo che gli spagnoli hanno esportato nel Continente circa un quinquennio fa. L’Italia è catenaccio e contropiede, è gioco duro e orribile da vedere, sporco, brutto e cattivo. S’è inserita come consuetudine all’interno di una credenza popolare. Smentita da un notevole passo in avanti, un linguaggio nuovo che ha strappato applausi di consenso da tutti i santoni del calcio. L’innovazione è stata riconosciuta persino dall’avversario Vitoria: anche questa è mentalità europea.
L’Europa ha appena scoperto un nuovo modo di fare calcio nel Belpaese. Merito di un signore che, a 57 anni, si è affacciato in una nuova dimensione con l’immancabile tuta. “Arrivato troppo tardi ad alti livelli”, riprendendo le parole di Dries Mertens. Presto l’Europa conoscerà la rivoluzione di Maurizio Sarri: conoscerà – soprattutto – un nuovo modo di pensare in Italia. Questione di etichette: se ne stacca una, ne sarà incollata un’altra. In un futuro neppure troppo lontano, non saremo più brutti e sporchi e cattivissimi e catenacciari e contropiedisti e disonesti. Saremo quelli che incantano, che strappano applausi e consensi. Quelli da prendere a modello e – sì, proprio così – da emulare. Grazie a quel signore con la tuta e alla sua rivoluzione. Le parole di Rui Vitoria sono il primo passo. E forse qualcuno se ne renderà presto conto: Sarri è arrivato troppo tardi ad alti livelli. Appena in tempo – però – per una rivoluzione.
Vittorio Perrone
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Articolo modificato 29 Set 2016 - 22:30