Esattamente quaranta anni fa, il 20 ottobre 1976, esordiva nel calcio professionistico Diego Armando Maradona nella sua Argentina, il match vedeva scontrarsi Argentinos Juniors e Talleres e un Maradona appena sedicenne subentrò in campo mentre gli Argentinos perdevano 1-0, ai microfoni di Olé il 10 per eccellenza ha rilasciato una lunghissima intervista su numerosi aspetti talvolta sconosciuti del suo passato. Ecco le parole di Maradona:
“Cosa ricordo del mio esordio? Mi ricordo che partii alle 10 del mattino da Villa Fiorito con l’unico paio di pantaloni che avevo, che erano di velluto a coste. Siccome faceva un caldo mostruoso, mi guardavano tutti sul treno, per strada, sull’autobus ma era l’unico che avevo. Non sapevo se sarei andato in panchina o se il tecnico Juan Carlos Montes mi avrebbe fatto giocare. Ho preso il treno, poi l’autobus, sono sceso alla stessa fermata di sempre e sono andato a piedi fino alla sede. Giocavamo contro il Talleres di Cordoba, all’epoca una grande squadra. Durante la gara, Montes mi disse di prepararmi perché stavamo perdendo per 1-0. Mi sono chiesto se si riferiva a me, ma siccome ero l’unico ragazzino presente, ho iniziato a scaldarmi.
Il mio ritorno in Argentina? Mi sarebbe piaciuto giocare di più nel mio paese, ma all’epoca l’Europa era il desiderio di tutti. Ero stato cercato dall’Arsenal, dal Barcellona, Omar Sivori voleva farmi andare alla Juventus. Il mio rapporto con Tevez? Carlos è nel mio cuore, avrebbe potuto andare all’Atletico Madrid o al Bayern Monaco ma lui ha scelto di tornare al Boca. Per i tifosi è qualcosa che non ha prezzo, Carlitos è il numero uno nell’anima e nel cuore del Boca. Ma il giocatore che ha dato di più al Boca è stato Riquelme. Lo invidio, avrei voluto essere lui. Pensate se, nel mio miglior momento, avessi lasciato Napoli per tornare alla Bombonera con la voglia di Riquelme. Avremmo vinto persino di più. In quale squadra avrei voluto giocare? Non saprei, potrei dire il Real Madrid però ho giocato nel Barcellona che è una squadra formidabile. Purtroppo ebbi dei problemi con il presidente Nunez, uno che pretendeva di essere più importante di Maradona, ma quello che ci metteva la faccia ero io. I catalani non hanno mai visto il miglior Maradona, ho avuto l’epatite e mi sono rotto una caviglia. Poi in blaugrana hanno giocato Rivaldo, Ronaldinho, Messi, è un club che ha buon gusto in fatto di giocatori.
A chi mi ispiravo? Il mio modello è stato Roberto Rivelino, era mancino come me. Vi racconto questo aneddoto: nel ritiro brasiliano durante i Mondiali del 1970 Pelé passò davanti a Gerson, Rivelino e Tostao, tutti e tre mancini. Volevano insultarlo affettuosamente ma a lui non si poteva dire nulla perché sapeva fare tutto, poi ci pensò Rivelino che guardò Pelè dritto negli occhi e gli disse: Negretto dimmi la verità, ti piacerebbe essere mancino, eh? La mia miglior partita con la nazionale? Sicuramente al Mondiale del 1986 fu quella contro l’Uruguay, che vincemmo 1-0 con un gol di Pasculli. Qualcuno disse che non giocai bene la finale: la finale la giocai con il cuore, fu come se avessi segnato io tutti i gol. Ma la più importante della mia carriera fu quella contro l’Inghilterra“.