Ci sono rapporti, nel mondo del calcio, che resteranno sempre impressi negli occhi degli appassionati. Storie di compagni di squadra, di giocatori con membri dello staff, storie di allenatori con i propri uomini. Tra questi andrebbe elencato anche lo speciale rapporto che ha unito, per una sola stagione, Gonzalo Higuain e Maurizio Sarri. Condizionale d’obbligo, perché per una sola stagione, negli archivi, verrà ricordato sì quel tecnico in relazione a quel giocatore, ma per sommi capi e senza quel giusto approfondimento che avrebbe meritato, senza un epilogo che sarebbe dovuto essere diverso. Ma, d’altronde, si sa: nel calcio moderno non c’è spazio per il romanticismo, non c’è spazio, almeno non più, per certe cose. Ma ci sentiamo di dire una cosa: Higuain, da professionista, ha fatto la sua scelta che, contestata o meno, va rispettata. Non ha tradito nessuno perché, al giorno d’oggi, un legame può essere speciale e particolare quanto si vuole, ma conta poco rispetto a tanto altro. Per questa ragione ci sentiamo di dire che l’unico tradito, più della squadra, più della società, più della piazza, è soltanto Maurizio Sarri. Vediamo perché.
ALLE ORIGINI – Luglio duemilaquindici, Gonzalo si è dimenticato di essere Higuain. È uno dei tanti, ottimi, attaccanti. Ma non è ancora l’attaccante principe della Serie A e dell’Europa calcistica. Ad attenderlo c’è l’uomo che gli cambia la carriera. Gonzalo ancora non lo sa ma sta per scoccare la scintilla, in un amore sbocciato inusitatamente a luglio e destinato a fare la storia. Comincia il campionato ed esplode il fenomeno Higuain. Alla decima giornata il Pipita ha realizzato già otto reti in campionato (quest’anno sei, finora, ma le situazioni sono diverse e lo stesso giocatore se ne sarà reso conto, n.d.r) e la stagione di alti e bassi, conclusasi con il rigore tirato alle stelle nella sfida contro la Lazio, è già alle spalle. Perché il delantero argentino si è semplicemente ricordato di chiamarsi Higuain e di essere, e sì lo era, il leader degli azzurri. A fine stagione i gol saranno trentasei ed il resto è storia, in tutti i sensi. Gran parte del merito va al giocatore: “È merito della madre che gli ha donato certe caratteristiche”. Lo diceva, con umiltà e consapevolezza, Maurizio Sarri più e più volte ma in fondo tutti sapevano e sanno che il lavoro del tecnico è stato immenso sotto ogni aspetto e che, per larga parte, Higuain è una sua creatura. Devastante.
IL PIPITA DE ORO – Da grande promessa di quel River Plate, la prima classe del calcio argentino, a grande colpo del Real Madrid, la prima classe del calcio europeo. La vita calcistica di Gonzalo Higuain si è svolta su questa falsariga: predestinato, grande tra i grandi. Ma non è stato sempre così: a Madrid arriva da promessa, se ne va da esubero. In mezzo sì, soddisfazioni (comunque minori delle delusioni, n.d.r), ma quante, realmente, da protagonista assoluto? Certo, verrebbe da dire, il Real ha una squadra di stelle assolute da sempre. Ebbene, contestiamo noi, la stella di Higuain non era venuta fuori e, per gran parte, a causa dello stesso giocatore. Capello, Schuster, Ramos, Pellegrini, Mourinho: tutti in giacca e cravatta, sulla panchina del Bernabeu. Tutti grandi nomi, grandi tecnici con cui, però, Gonzalo non è mai riuscito ad esprimersi al meglio. Alla fine arriva Ancelotti e Higuain abbraccia Napoli, trova Benitez ed una squadra di cui rappresenta il fiore all’occhiello. Va bene, ma può andare meglio, da lui ci si aspetta di più. Infine scopre l’uomo in tuta, il maniaco della tattica, il consumatore seriale di sigarette. L’ex impiegato di banca che però ha la sua visione: lavora sulla testa del giocatore, gli fa capire chi deve essere. Il suo è un lavaggio del cervello, trasforma nel giro di poche settimane un centravanti forte in uno dei tre migliori al mondo, nel suo ruolo. E poi, per ultimo, gli cuce addosso un 4-3-3 che, al Pipita, calza a pennello. Tra i due nasce un rapporto unico, lo testimoniano l’intesa che si viene a creare, le coccole dell’uno nei confronti dell’altro e viceversa, gli abbracci e quella sincerità che a tutti aveva fatto gridare all’amore. Poi quelle lacrime ad Udine, quando tutto svaniva in un attimo ed infine la decisione dell’addio. È Sarri che ha svegliato Higuain e gli ha dato quell’area spavalda, calcisticamente parlando, che appartiene ai più grandi. È Sarri che ha ridato Higuain a se stesso. È Sarri che ha dato al calcio italiano, e la Juventus ringrazi, il miglior attaccante disponibile sul mercato. E poi ha dato il resto, ma son dettagli: il centravanti più forte e decisivo degli ultimi sessantasei anni nel momento migliore della sua carriera.
L’EPILOGO – “Lo saluterò, come un figlio che ti ha fatto un po’ incazzare”. È un po’ toccante, Sarri, quando dice queste parole. Perché, a rivedere quelle immagini, un sorriso scappa a tutti e la mente va inevitabilmente a quei giorni in cui certi valori, certi legami, nel mondo del calcio, sembravano ancora possibili. Non è andata così, lo sappiamo. Eppure ci piace pensare che allo Stadium, anche solo per un momento, i due si dimenticheranno della partita ed entreranno in uno spazio tutto loro. Guardandosi negli occhi, forse accennandosi un sorriso ed uno sguardo d’intesa. Ripercorrendo i bei tempi andati, sì, ma resta il fatto che sul campo non esistono amici. Nemici, per la prima volta. I ricordi restano tali, nessuno li cancellerà. Nemmeno le ferite, che pure ci sono, dopo che una storia così è nata e si è consumata in un solo anno. Dopo ancora una volta ognuno per la sua strada, per poi ritrovarsi, chissà ancora quante volte. Capirete perché, se proprio di tradimento si vuol parlare, ad essere tradito è stato Sarri. Un saluto non cancella, però, un figlio che ti ha fatto incazzare. Un figlio, forse, un po’ ‘ngrato.
GENNARO DONNARUMMA