Dietro ogni calciatore professionista c’è un grande mentore. Perché in fondo bisogna sempre valutare il quadro d’insieme, l’unione di quei tasselli che formano il grande mosaico della crescita professionale di un ragazzo. Mentori, figure di riferimento in cui rifugiarsi nei momenti di difficoltà calcistica. Frasi dette, ridette e inculcate con la forza in allenamento possono tornare all’improvviso in mente. In fondo è questo che deve saper fare un mentore: trasmettere insegnamenti che possano accompagnare il calciatore per tutta la vita.
SETTORE GIOVANILE, IL RACCONTO DELL’EX ALLENATORE
Giuseppe Cimmaruta sarà stato mentore di un corposo gruppo di ragazzi. Lui, dall’alto dei suoi nove anni di esperienza, ne ha visti a bizzeffe di adolescenti inseguire il sogno del campo. Ha visto il successo, la gioia dipinta sul volto di bambini e ragazzini, probabilmente le lacrime di delusione. Avrà detto loro che sì, c’è del buono anche nei pianti: insegnano. 9 anni nei meandri del settore giovanile del Napoli sono tanti, tantissimi: abbastanza per forgiare piccoli campioni. “Il primo anno della società di Naldi avevo i ’91 – ricorda Cimmaruta in esclusiva ai nostri taccuini – Abbiamo disputato tanti tornei importanti e raggiunto traguardi meravigliosi. In quel gruppo c’erano anche Sepe, attualmente al Napoli, e Pucino (Vicenza). C’erano tanti bravi calciatori, molti giocano tra i professionisti: non è facile arrivarci. Con la nuova società arrivarono anche Insigne e Maiello“.
Il mondo del calcio, però, sa essere crudele e spietato: solo chi lotta arriva in fondo. “Molti si sono persi per strada. Tra i ’93 c’erano degli elementi davvero interessanti: furono meno fortunati. Ho allenato anche i ’98 e i ’99, molti elementi dell’attuale Primavera sono transitati sotto la mia guida. Io preparavo i ragazzi per le categorie nazionali“. Qualsiasi allenatore in ambito giovanile è ben consapevole del suo ruolo: formare i calciatori e salutarli con la speranza che possano calcare palcoscenici prestigiosi un domani. Essere allenatori di selezioni giovanili è, soprattutto, gonfiare il petto d’orgoglio nel vedere esordire un proprio pupillo. “Allenare giovani non è come allenare gli adulti. Soprattutto con i più piccoli bisogna essere più istruttori che allenatori, far crescere i ragazzi sotto l’aspetto tecnico-tattico ma soprattutto mentale. Mentre l’allenatore dà direttive, l’istruttore fa crescere. E’ una differenza abissale”.
PROBLEMA DI BUDGET
Il Napoli, in ambito giovanile, può e deve fare di più. Questo è un dato di fatto conclamato: l’inferiorità della Scugnizzeria al cospetto dei settori giovanili delle big è palese. Il motivo? “Ci vuole un budget all’altezza della situazione, questa società non ha mai puntato sul settore giovanile. La differenza si nota con la vecchia società, quella di Naldi: fallì ma puntava molto sui giovani, curava il settore molto di più. Oggi si bada all’imprenditoria e si punta sugli stranieri. E’ un peccato perché in Campania c’è del materiale importante”.
Colpa della carenza di strutture, forse il deficit più grande per la Scugnizzeria: “Sono stato in giro per l’Italia e ho visto strutture meravigliose – ammonisce mister Giuseppe – anche a Padova, in una società di Lega Pro. Per non parlare di Trigoria, Empoli e Milano. Il Napoli dovrebbe fare qualcosina in più. Io sono cresciuto nel Napoli dal ’74 all’’85, ho fatto tutta la trafila nelle giovanili fino alla prima squadra. Quella società puntava sul settore giovanile, tanti calciatori arrivarono in prima squadra”. Altri tempi, verrebbe da dire. Tempi replicabili, sicuramente. Basterebbe, in fondo, qualche sforzo economico in più. Il monito è chiaro: non abbandonate il settore giovanile. E’ da lì che nascono i campioni del domani. Come quelli della Primavera di Saurini: “Mi piacciono molto Negro, che ho segnalato al Napoli quando avevo i ’98, Otranto e D’Ignazio”. Nomi sconosciuti ai più: un domani, forse, non sarà così. L’allarme, allora, va lanciato a tutti i costi: non abbandonate il settore giovanile.
Vittorio Perrone (@pervi97)
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