La vittoria è il sale di ogni competizione. Vincente è colui che profuma di successo e azzanna la preda sempre con la stessa fame, senza perdersi in calcoli. Per vincere, però, tutto questo a volte non basta. Non si può prescindere da mezzi e rifornimenti. In queste due righe di assoluta banalità ho raccolto la penombra attuale del Napoli. Perché giocare senza un attaccante o accontentarsi di un pareggio non è da includere nell’ordinario, è sconvolgere i principi primi del calcio. Va bene la sfortuna, un pizzico di confusione dell’allenatore e qualche attrito di troppo con chi c’è più in alto. Ma sconfessare le regole spiegate ai bambini pare un tantino troppo. Con la legge del contrappasso che attende dietro l’angolo. Eh sì, un pareggio a Lisbona ora basterebbe davvero. Cos’è un rebus riuscito male? Niente paura, non mi sono incartato come Insigne a due passi dalla porta. Con il punticino in Portogallo si passa. Non si passa se si scenderà in campo per il punticino.
Le parole di Sarri, Reina e Zielinski nel post-gara di martedì sera sono state disarmanti. Il polacco è giovane e poco esperto davanti ai microfoni. Gli altri due, d’altro canto, sono parte della spina dorsale di questo progetto. E non entro nel merito di queste affermazioni, non ne metto in dubbio nemmeno la veridicità. È umano lasciarsi condizionare da quanto accadeva in Turchia, soprattutto se in modo così repentino. La voragine è aperta dall’ingenuità di raccontarlo alla stampa, veicolandolo a metà tra un alibi e un atteggiamento praticamente inevitabile. Una toppa clamorosa nella costruzione di una mentalità vincente che vale quanto un orrore grammaticale nella prova d’italiano all’esame di maturità. Una cultura del trionfo con buone fondamenta create dall’idea di gioco non è abbastanza. Si deve passare obbligatoriamente attraverso convinzioni inculcate giorno dopo giorno e una forte propensione verso il traguardo senza curarsi di ciò che accade ai bordi della strada.
Ogni tassello deve incastrarsi perfettamente per restare nell’Olimpo delle grandi e non sfrecciare soltanto come una semplice meteora. Una struttura societaria ben distribuita, ad esempio, o una guida tecnica fuori da ogni provincialismo sarebbero requisiti adatti. Sarri si è arrampicato dal basso, lo ha fatto con saggezza e abnegazione, ma trascina con sé quell’intelaiatura rurale e fatica a disfarsene. Ha insegnato calcio, il suo calcio, ma a questi livelli bisogna saper reggere i condizionamenti esterni. L’harakiri di ieri sera mette in dubbio la sua gestione dello spogliatoio. Solo di qualche tempo fa, invece, le rimostranze su calendario e orari delle partite, o ancora su una rosa troppo giovane per addossarle qualsivoglia responsabilità. Ecco, un po’ di incoerenza travestita da incertezza. Rog è scomparso dai radar mentre Diawara, letteralmente all’improvviso, è diventato attore protagonista. Evidenti le doti del classe ’97, ma schierarlo in tutte le gare cruciali dell’ultimo mese non potrebbe scatenare una pressione enorme sul ragazzo? E Jorginho? Ago della bilancia dell’intero disegno sarriano è stato accantonato senza possibilità di replica, con pesanti conseguenze sul morale del calciatore.
Il rigore delle scelte e la scarsa flessibilità nell’inserire varianti hanno piazzato il buon Maurizio sul banco degli imputati. Va detto che alcune disgrazie individuali, soprattutto nel reparto arretrato, influenzano ogni giudizio sulla stagione azzurra finora. Certo è che le tre misere reti messe a segno da Mertens e Gabbiadini raccontano tutta la sterilità in attacco del complesso partenopeo. C’è da ammettere che trovarsi senza una prima punta di ruolo nel calcio odierno è una mazzata difficile da digerire per qualunque allenatore. Ma a quel punto nasce la necessità di valorizzare il patrimonio a disposizione. E proprio a quel punto Sarri ha scagliato qualche battuta a vuoto. Insistere con la stessa disposizione tattica ha finito per risucchiare tutte le energie di Dries e spedire puntualmente al macello Manolo ogni qualvolta gli viene chiesto di fare ciò che non gli riesce: il centravanti. Soli soletti contro le retroguardie avversarie palesano un’enorme fatica, chissà cosa potrebbero combinare se schierati uno accanto all’altro. Chissà. Probabilmente non lo sapremo mai. Osare è un verbo che non appartiene a quest’epoca. Il tempo ci dirà se siamo già in una fase vintage.
Per adesso torniamo al futuro. Un futuro che si deciderà il 6 dicembre nel catino infuocato del Da Luz. Già si sprecano gli inviti alla classica e inflazionata partita della vita. La statistica parla chiaro: a parte l’1-1 di Firenze un anno fa, mai il Napoli di Sarri ha saputo conquistare punti pesanti nelle partite determinanti lontano dal San Paolo. Un background da brividi. Eppure le carte in regola per un colpaccio ci sarebbero tutte. Basta che a Castel Volturno si apra il manuale delle istruzioni di questo sport. Il paragrafo a pagina 1, “Lo scopo del gioco”. Ad alta voce, grazie.
Ivan De Vita
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