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È arrivato il momento di seppellire “Un giorno all’improvviso”?

La scaramanzia a Napoli si integra perfettamente nella vita quotidiana dei tanti cittadini che la affollano. È un insieme di regole non scritte che misurano il ritmo della vita di un partenopeo. Un giorno all’improvviso? No, per una sorta di un processo graduale e di grande legame con le tradizioni. Tutti fattori che contribuiscono all’unicità di Napoli nel mondo.

UN GIORNO ALL’IMPROVVISO

Poi c’è la Napoli del pallone, quella azzurro mare, quella amata forse ancor più della città stessa. Questione di priorità. La squadra di calcio, da questa parte, è quasi una religione. Da seguire con passione quando il vento soffia in favore, da criticare quando le logiche da risultato non soddisfano le esigenze dei tifosi. Spesso divisi nelle intenzioni e nelle opinioni, ma uniti quando c’è da cantare “Un giorno all’improvviso”. Quel motivetto a difesa di squadra e città, basato su una celebre canzone dei Righeira, aveva attecchito e spopolato lo scorso anno. Era bastato un inseguimento riuscito alla prima piazza per accarezzare i sogni di gloria. Un giorno all’improvviso, per l’appunto. Sulle note di una canzone entrata magicamente nel cuore dei napoletani. Al ritmo di un battimani improvvisato e di una voce rotta dall’emozione. Tutto sembrava magico: l’alchimia di un amore, in fondo, è qualcosa di inspiegabile alla ragione umana.

Un giorno all’improvviso, il Napoli s’è smarrito. Colpa della sfortuna di Milik in nazionale, forse. Colpa del mercato, per alcuni. Di Sarri, per altri. Di Reina, sostiene qualche altra voce. Fattori comprimari e complementari. Risultato? Settimo posto, Champions lontana e vetta che sembra irraggiungibile. Un giorno all’improvviso, per l’appunto. E, tornando al discorso della scaramanzia di cui sopra, risulta quantomeno singolare il fatto che il Sassuolo abbia trovato il goal proprio mentre il San Paolo intonava il celebre coro. I 50 mila a sostenere squadra e città, Defrel a marcare il tabellino: 1-1. Bellissimo, invece, l’atto terzo della partita: “Un giorno all’improvviso” Paolo Cannavaro si è trovato a cantare sotto la sua vecchia curva. Non aveva avuto modo di salutare, partito in una fredda sera di gennaio. L’ha fatto in grande stile quasi due anni dopo.

CORI E NOSTALGIA

Gli azzurri intenti a cantare con il proprio pubblico in uno scatto risalente alla passata stagione

E poi va considerato il dato più nostalgico. Risale ad appena un anno fa. Sembra un’eternità. Il tempo, in fondo, gioca brutti scherzi. Era il 30 novembre 2015, il Napoli batteva l’Inter in una gara al cardiopalma e si proiettava al primo posto dopo 26 anni. Al termine della battaglia, i guerrieri in maglia azzurra si erano recati a cantare con i propri tifosi. “Un giorno all’improvviso”, tanto per cambiare. Era la prima volta, sarebbe accaduto spesso in futuro. E, soprattutto, avrebbe provocato qualche invidia nel resto dello Stivale (Ricordi, Boban?). In prima fila nel canto e nel battimani c’era lui, quello con la maglia numero 9 che a fine stagione, con 36 goal come testamento, sarebbe passato alla Juventus.

L’interrogativo allora sembra quasi scontato: perché non accantonare “Un giorno all’improvviso”? Motivi di scaramanzia, certo, ma anche motivi storici. Il Napoli non è più lo stesso dello scorso anno, le fortune di quel coro sembrano ormai scemate definitivamente. Giusto evolversi per non rischiare di trasformare quelle parole in un coro sventurato. Legandolo esclusivamente ai successi dello scorso anno, invece, si potrebbe ambire all’immortalità. “Nonno, mi racconti di quando cantavi in curva quel coro?”. E lui si siederebbe accanto al nipote, iniziando a ricordare una squadra che sfiorò l’impresa tanto agognata.

Ah, nota a margine (ma neanche tanto): è da tanto, troppo, che al San Paolo manca O’ Surdato ‘Nnammurato. Questa, però, è un’altra storia.

Vittorio Perrone

 

 

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Vittorio Perrone