L’adolescenza è, sfogliando la Treccani, “l’ultima fase evolutiva, interposta tra la fanciullezza e l’età adulta, caratterizzata da una serie di modificazioni somatiche, neuro-endocrine e psichiche”. Una squadra di adolescenti è come Sarri ha definito il Napoli dopo la gara di lunedì sera contro il Sassuolo. Con la maturità ad un passo, ma sempre troppo lontana per essere afferrata. Un bruco con tante buone intenzioni ma incapace di diventare una meravigliosa farfalla. Un processo di crescita rallentato dai cambiamenti o un’improvvisa involuzione?
Tornano i fantasmi all’ombra di Fuorigrotta, alla vigilia di una settimana che ha già le sembianze di uno snodo cruciale. Torna il narcisismo, la poca cattiveria, quello stucchevole possesso palla senza un briciolo di cinismo. Il conforto delle statistiche sulla mole di gioco creata, sulla capacità di gestire a proprio piacimento l’andamento delle gare, stride in maniera preoccupante con quanto si è racimolato finora. E se gli alibi della mancanza di un attaccante vero o dei troppi errori difensivi sono sempre validi, è l’intera cornice che appare un po’ scolorita. E se, come ritiene il mister, si tratta di una sindrome di Peter Pan mai assorbita, è necessario indagarne le cause. Le “modificazioni” ci sono state ma non possono certo sconvolgere l’intero collettivo. Lo zoccolo duro è quello che ha entusiasmato i tifosi fino ad un paio di mesi fa. Le nuove leve ci sono, ma dovrebbero fungere da complemento. Forse, e dico forse, la maturazione a tentoni non appartiene solo al gruppo, ma anche a chi lo guida.
Se al 45’ si torna in campo per non ammazzare la gara, magari negli spogliatoi non è stato spinto il tasto giusto. Giocare al piccolo trotto contro una squadra oggettivamente inferiore (anche per via degli infortuni) come Il Sassuolo attuale è voler sfidare il destino, che nel calcio troppo spesso ti punisce con una crudeltà disarmante. E’ anche una sorta di presunzione, diciamocelo, quella sì dovuta ai tanti applausi ricevuti. La mancanza del killer instinct, se aggiunta agli orrori dei singoli o ai vari black-out di concentrazione patiti quest’anno (basti ricordare il match contro il Milan) o, denotano probabilmente un’eccessiva morbidezza di papà Sarri con il suo ragazzetto azzurro ancora in preda all’acne. La fermezza con la quale vanno distinte le priorità e i modi d’agire deve essere totale, per evitare che ci si infili in pericolosi tunnel. Se, come sta accadendo, si persevera negli errori già commessi, probabilmente occorrono misure più restrittive. O, talvolta, capire chi è effettivamente l’adolescente.
Non di rado, con lo stesso senso del dovere ma con maggiore umiltà, sono i genitori a dover apprendere dai propri figli. Il buon Maurizio è artigiano del calcio, ma di quelli vecchio stampo. Inflessibilità e testardaggine, c’è tutto l’occorrente per ibernare le sue idee. Se si è privi delle soluzioni o semplicemente della brillantezza dei giorni migliori, forzare sugli stessi argomenti è come chiedere al mare d’agosto di spostare una scogliera. Niente da fare. A volte è proprio Sarri a mostrare una fanciullezza di pensiero, priva di quell’esperienza tale da convincersi della necessità di un restyling. Soliti cambi (addirittura nel minutaggio), Rog affacciato al balcone, Giaccherini lanciato puntualmente come una pecora al macello e Gabbiadini-Mertens sfibrati da una staffetta improduttiva. Con la fissa che solo giocando bene si superano gli ostacoli. Un assioma condivisibile, ma con le eccezioni rappresentate dalle palle sporche o dalle mischie finali che non meritano di essere escluse. Invece la carica dei 101 passaggi dalla quale nasce il giocattolo sarriano si perde guardandosi allo specchio anche quando la sana cattiveria dovrebbe fare la differenza. Dimenticate, dunque, la goduria avvolgente di una vittoria ottenuta nel finale.
Ivan De Vita
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