Ci sono momenti e momenti nell’arco di un campionato. Alcuni di esaltazione, altri di delusione, fino alla frustrazione più totale. Ed è ciò che accade proprio il 13 febbraio, nella madre di tutte le partite per il tifoso azzurro: Juventus-Napoli. Minuto 35 del primo tempo, passaggio filtrante di Allan per Hysaj che galoppa sulla trequarti destra del campo, cross perfetto al centro dell’area per Higuain, che già pregustava l’esultanza per il suo 25simo gol stagionale, seppur senza il supporto dei tifosi partenopei che, nel settore ospiti, nemmeno l’ombra, per via del solito, triste divieto di trasferta in terra juventina, imposto dall’Osservatorio per le manifestazioni sportive, visti i dissapori da tempo immemore tra le due tifoserie.
Tornando a quel minuto 35, tra Higuain ed il vantaggio azzurro allo Stadium ci metterà lo zampino, anzi zampone, Leonardo Bonucci. Già, colui che avrebbe poi abbandonato il campo all’inizio della ripresa causa infortunio muscolare, probabilmente dovuto a quell’intervento così poco estetico, quanto mai efficace. Non ci crede neanche il Pipita, quando, davanti ai suoi occhi, ad un centimetro o poco più dalla gloria, vede il pallone svanire oltre la linea di fondo, per un innocuo calcio d’angolo a favore dei partenopei.
Da una parte, l’incredulità del centravanti argentino per l’occasione sfumata di un soffio, dall’altra la gioia incontenibile del difensore bianconero, autore ufficialmente del rimpianto più grande del 2016 azzurro. Certo, con i se e con i ma la storia non si fa, ma cosa sarebbe successo se, su quella pennellata di Hysaj, il caro Bonucci non ci fosse mai arrivato? Ci piace immaginare ciò che tutti in quel momento, tra anti juventini incalliti e purosangue partenopei, si sarebbero augurati di dover assistere: gol di Higuain e Napoli in vantaggio allo Juventus Stadium di Torino.
A quel punto, probabilmente, la partita avrebbe preso una piega completamente diversa, con gli azzurri forti sia nella supremazia del risultato che sotto l’aspetto mentale, con i bianconeri alla ricerca disperata e confusionaria di un pareggio che appariva più di un semplice miraggio e, soprattutto, con la piena consapevolezza, in caso di sconfitta, di spianare la strada, col vento tra i capelli, ad un Napoli bello e vincente, come neanche nell’epopea maradoniana si era mai visto. Il record assoluto, nella storia del club azzurro, di nove vittorie consecutive in campionato, unito ai cinque punti di vantaggio sulla Vecchia Signora, sarebbero stati la ciliegina sulla torta del momento sportivo più luccicante del Napoli, dopo anni bui tra promesse societarie mancate e fallimenti dichiarati.
Purtroppo, non avremo mai la certezza assoluta che ciò di cui sopra sarebbe realmente accaduto. Magari poi la Juventus avrebbe comunque ribaltato il risultato e conseguentemente vinto la “battaglia” sportiva, anche se, francamente, stentiamo a crederci. A fine gara, un frastornato Maurizio Sarri dirà: “La Juventus è di un’altra categoria, abbiamo pagato la nostra inesperienza ad affrontare partite così importanti. Questo match ci farà crescere e ci darà uno stimolo in più”. Parole simbolo di un’evidente resa preventiva, come se il tecnico azzurro, da buon appassionato di ciclismo, avesse già intuito che quella “tappa” avrebbe significato l’inizio della fine per i suoi undici corridori in campo, manco fosse la famigerata “Montagna Pantani”, la scalata più importante del Giro d’Italia.
E la previsione fu più che azzeccata, con il Napoli che, dopo il fulmine a ciel sereno targato Zaza, perse primato e quegli stimoli di cui proprio Sarri ne aveva fatto una fortezza inespugnabile alla vigilia del match con i bianconeri, vedendosi poi sfuggire di mano uno scudetto già pronto per essere cucito sul petto, 26 anni dopo l’ultimo, indimenticabile trionfo firmato Diego Armando Maradona e dovendo assistere all’ennesimo, insopportabile momento del tricolore alzato al cielo (azzurro) da chi, di azzurro, proprio non se ne intende.
Articolo modificato 31 Dic 2016 - 17:59