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“C’eravamo tanto amati, caro Manolo”. In un giorno speciale d’inverno un ragazzone lombardo era sbarcato in quel di Capodichino. Sorriso sornione e tante, tantissime belle aspettative. Era un giorno speciale, certo, perché la mattina seguente Napoli si sarebbe svegliata senza Pino Daniele. Un vuoto incolmabile, una sorta di segno del destino. Il sorriso aveva accompagnato Manolo Gabbiadini nel suo primo approccio con la realtà napoletana, un migliaio di tifosi si affrettarono all’aeroporto per acclamare quel ragazzone di cui si diceva un gran bene.

L’AVVENTURA AZZURRA DI MANOLO GABBIADINI

A Genova, città di mare, sponda blucerchiata, aveva strappato applausi e consensi. E le lacrime di chi non interiorizzava la cessione verso lidi più prestigiosi. Un colpo da 13 milioni, ripartiti tra Sampdoria e Juventus. Ben spesi, si diceva. Anzi, aver strappato ai bianconeri uno dei migliori elementi nel panorama italiano rappresentava un vanto ulteriore. Belle parole, tante. Di fatti, però, pochi. La vita è fatta così, in un attimo le certezze crollano come miseri castelli di sabbia. Gabbiadini al Napoli è storia simile, un passaggio dai consensi generali all’indifferenza nei suoi confronti. Apatia, per certi versi. Quanti rimpianti: per una partenza sprint, sotto l’egida di Benitez e del suo 4-2-3-1. A destra, a sinistra e al centro: ruoli a lui più congeniali. Lo score recitava 11 goal in 30 presenze da gennaio a giugno 2015. Un inizio notevole. Chi ben comincia, d’altronde, è già a metà dell’opera. 

MANOLO GABBIADINI, L’OPERA INCOMPIUTA

E lui, Manolo Gabbiadini, s’è fermato proprio lì, a metà. L’opera intrapresa è rimasta sospesa in un vorrei ma non posso. È la versione calcistica della Sagrada Familia, la cattedrale cui Antoni Gaudì lavorò fino alla morte. L’incompiuta. Come Manolo. Che, effettivamente, s’è perso tra incomprensioni tattiche con Sarri e una personalità mai decisa a spiccare il volo. Quel volo che, a conti fatti, Manolo avrebbe potuto intraprendere con la cessione di Higuain, il dualismo con Milik e l’infortunio del polacco stesso. Vorrei ma non posso. Oppure, semplicemente, Gabbia non c’è riuscito.

I TRE MOTIVI ALLA BASE DEL FALLIMENTO

Colpa di alcune incomprensioni tattiche, dicevamo: il ruolo di centravanti non è mai sembrato congeniale alle sue caratteristiche. A Genova agiva sull’out destro, con Benitez si calava alla perfezione nei tre ruoli alle spalle della punta. Il mestiere dell’ala ha un’interpretazione diversa nella visione Sarriana del 4-3-3: a restare scottato è stato proprio lui, quello con il numero 23 che si è dovuto riciclare come 9. E poi la sfortuna, quella che gli ha piazzato davanti un Higuain nel punto più alto della sua carriera. Impossibile rimpiazzare l’attaccante dei 36 goal in 35 partite. Della personalità s’è già parlato? Gabbiadini è sempre parso incapace di sostenere le pressioni di una piazza esigente come quella partenopea. Le troppe critiche l’hanno schiacciato e poi privato delle sue certezze fondamentali.

NUMERI

Risultato: un’incompiuta. Tanti i rimpianti, la tristezza nel vederlo, due anni dopo, in passare al Southampton. Neppure i 17 milioni più tre di bonus che Aurelio De Laurentiis incasserà potranno alleviare il dolore. Poteva diventare un idolo, se n’è andato con il beneplacito della piazza. Un’opera incompiuta, sospesa a metà tra l’impressione (data a tratti) di poter spaccare il mondo e la sensazione d’una personalità troppo fragile per imporsi in una big. Peccato, Manolo. E ora non ci resta che salutarci in modo imbarazzato: in fondo, c’eravamo tanto amati. Di lui, ora, resteranno solo i numeri: 79 presenze e 25 goal in due stagioni complessive. Neppure male. Ma, ormai, sono solo ricordi. Ricordi di un’incompiuta.

Vittorio Perrone
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Vittorio Perrone
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