I sospiri a fine gara dicono più dei numeri, delle statistiche, delle giocate. Soprattutto se sono lunghi novanta minuti più recupero, soprattutto se accompagnati da un sorriso enorme, bello, significativo. Ci voleva, Jorginho. Non solo perché la legge dei tre punti è sempre la più giusta. Ma anche perché, in un mondo dove le cadute sono all’ordine del giorno, il brasiliano ha rischiato più volte di restare vittima di una stagione anonima.
Ottantadue a diciotto: e ora provate a dire che il possesso palla non conta niente. Ancor più per una squadra come il Napoli, che fa del fraseggio e delle giocate in verticale il proprio mantra per chiudere partite e polemiche. C’è tanta bellezza, al San Paolo. Tra le spallate di Pavoletti, le continue sovrapposizioni di Callejon e la freddezza di Insigne, è però il centrocampo a contare chilometri e dispensare luce. Ed eccolo che ritorna, l’ex Hellas: Diawara sarà anche un fenomeno in erba, ma lui è l’usato sicuro. L’uomo che fa bene perché non sa far altro. L’uomo che, se non ingabbiato, qualcosina, a tu per tu con la palla, sa bene come dimostrarla.
Sembra possedere il dono della fiducia: tutti lo cercano, tutti lo guardano. E ogni palla che passa dalle sue parti viene ripulita dal marcio e riconsegnata ad un gioco più fluido, veloce, tecnico. Che in questa squadra non è che faccia la differenza: determina praticamente ogni giocata.
Non c’è stata gara. Non c’è stata in nessuna parte del campo, in nessun istante, in nessun angolo di un San Paolo che anche oggi ha risposto presente. Così come ha fatto il regista tanto caro a Sarri, del resto. Che lì in mezzo si è appropriato di un bel pezzo di passato, spesso gettando un occhio al futuro. Ah, quale sarà? Se dipendesse solo dall’amore, non ci sarebbero dubbi. E se dipendesse dalla prestazione di oggi, probabilmente neanche qui qualcuno avrebbe da obiettare: Jorginho è stato l’artefice del giro palla e dei giramenti di testa dei calabresi. Tredici minuti netti di possesso personale, 159 passaggi effettuati e pure tre palle rubate: applausi. Fragorosi. Sentiti. Accorati.
Sì, finalmente. Ché in fondo è mancato, perché di dighe e ripartenze il Napoli aveva bisogno come questa risposta post Champions. E qualcuno ad Amadou deve pur pensare, se la pressione schiaccia e le paure incombono. No, magari contro il Real sarebbe servito a poco. Magari sì. Ma coi ‘magari’ non ci si fa nulla, non ci si sogna, né si fa gol. Ecco: coi lanci dell’otto, invece, si canta e si vola. Chiedere a Insigne per conferme. E a Napoli per l’amore.
Serviva una risposta, è arrivata anche una certezza: non avrà le stimmate del fuoriclasse eterno, ma ha il talento che serve, i polmoni necessari e il carattere giusto per guidare questa squadra. Ah, da oggi, anche un sorriso pulito e sincero. E non sottovalutateli mai, i sorrisi.
Cristiano Corbo
Articolo modificato 13 Mar 2017 - 00:07