L’ondata di Champions è alle spalle. Ci ha travolto, è vero, ma non trascinato via. Peggio è andato alle corazzate europee guidate dagli sceicchi. Per il Napoli, invece, il moto d’orgoglio è stato notevole. La qualificazione del sontuoso Real Madrid è stata meno scontata di quanto atteso e di quanto possa esprimere il punteggio. L’esperienza acquisita ha insegnato quanta furbizia occorre mettere in cascina per misurarsi con icone della storia calcistica. Lo smoking è un’ottima forma di presentazione alle serate d’élite. Ma bisogna avere la capacità, dopo qualche drink, di legare la cravatta alla fronte e lanciarsi nella battaglia post-cena. Sporchi e genuini, spesso, si diventa ancora più attraenti.
Stazza e forza fisica, questi sconosciuti. Parliamoci chiaro, al netto di altri eventuali assi nella manica, sono stati due perentori stacchi aerei di Sergio Ramos a stroncare i nostri sogni di gloria. Due calci d’angolo su cui si marcava a zona per manifesta inferiorità strutturale dei calciatori azzurri, stando alle spiegazioni di Sarri nel dopo gara. Ma non è solo il Napoli ad aver pagato dazio sulle palle inattive negli ottavi di finale appena conclusi. La rimonta epica e contestatissima del Barca nasce e si sviluppa da due calci di rigore e un piazzato. Così come le qualificazioni più sorprendenti, quelle di Leicester e Monaco, vengono sancite da due calci di punizione con spioventi in area. A dimostrazione di quanto nel calcio odierno, in cui gli episodi offuscano meriti e valore effettivo di una compagine, giocarsi le proprie carte sui tiri da fermo può condizionare se non indirizzare un’intera stagione.
Un aspetto, quest’ultimo, che al Napoli dei piccoletti ancora sfugge. Una rosa che, al contrario del maître di “Totò, Peppino e la Malafemmena”, non se li porta bene i centimetri. Una lacuna pagata a caro prezzo già in varie circostanze relative al campionato. Giusto puntare su qualità e giovane età durante la campagna acquisti, ma abbinarla ad un po’ di sostanza non scalfirebbe la tela sarriana. Amadou Diawara è il classico esempio da portare avanti. Tuttavia, la stessa sfacciataggine con la quale si divincola nel bel mezzo del Santiago Bernabeu, può tramutarsi in una forzata sufficienza che a grandi livelli è letale. Rischi da mettere in conto ma che vale la pena correre. Ed ecco che, proprio per la completezza dimostrata nelle serate di coppe, tornano alla mente le trattative per Fabinho o Tolisso. Il centrocampista del Monaco, puntato da Giuntoli l’estate scorsa ma la cui offerta è stata ritenuta inadeguata, ha scaraventato giù dalle migliori otto d’Europa il City di Guardiola con una prestazione maiuscola; la mezz’ala di origini togolesi ha demolito la retroguardia della Roma con velocità ed esplosività. Profili indovinati, dunque, ma mai inseguiti fino in fondo.
D’altro canto non è vero che la macchina di Sarri è vicina alla perfezione e difficilmente migliorabile. Ha mostrato tutto il suo talento e l’accuratezza dei meccanismi, eppure tutto ciò non basta per vincere. Serve cattiveria in ogni fase della gara, astuzia nei momenti cruciali e il famoso “piano B” per una maggiore imprevedibilità. Pavoletti rappresenta il cambiamento radicale, l’alternativa corretta al tipico spartito dei partenopei. Intrecciare le sue attitudini con la filosofia di pensiero del gruppo è operazione tutt’altro che facile. Specialmente se il ragazzo ha patito un infortunio piuttosto serio e non dispone di molti minuti giocabili per farsi valere. Ma i primi segnali del Leonardo pensato da Sarri, in appoggio e finalizzazione, si sono intravisti domenica contro il Crotone. Sarà un processo più lungo rispetto all’adeguamento di Mertens come falso nueve, non c‘è dubbio. Chissà, magari darà le stesse soddisfazioni.
La fisicità da corner, calci di punizione o semplicemente garantita da un puntero possente, è una fucina di punti raccolti senza brillare. Punti decisivi. Quelli che mancano ad un Napoli tanto ammirato da interrogarsi a lungo prima di comprendere dove può crescere. Nella consapevolezza e nella mentalità, innanzitutto. Ma anche nei centimetri sui quali aggrapparsi in campo. Per vincere partite sporche e apparentemente senza via d’uscita. A partire da Empoli e dalle solite “piccole” insidie.
Ivan De Vita
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