In una delle sue prime conferenze stampa da allenatore del Napoli, Maurizio Sarri, pungolato sul divario con la Juventus, spiegò con poche parole un concetto molto importante: “Quando nella scorsa stagione i bianconeri vennero a giocare ad Empoli, capii sin da prima della partita che avremmo perso. Sapete perchè? Osservando lo sguardo dei calciatori della Juve, vidi nei loro occhi un fuoco che noi non avevamo. E quello che fa la differenza tra una buona squadra e una grande squadra”.
A distanza di un anno e mezzo, queste parole sono, purtroppo, di un’attualità ancora disarmante. Perché in questo lasso di tempo sono stati tanti, troppi, i punti che il Napoli ha lasciato per strada a causa di errori gratuiti, dovuti a problemi di concentrazione e di applicazione. Si tratta di fame, di grinta, di “cazzimma”. Chiamatela come volete. Qualche giorno fa Salvatore Bagni diceva: “Io ero alto 1 metro e 70 centimetri. Eppure gli allenatori mi davano sempre quello più alto da marcare. E in tanti anni di carriera, il mio uomo ha fatto gol solo in due occasioni: con me non si passava”. Chiaro, no?
Il Napoli non ha, nelle sue corde, caratteristiche del genere. Una volta avremmo detto di essere al cospetto di una squadra “femmina”. Tanta qualità, che però da sola non basta per inseguire grandi obiettivi. Per raggiungere quelli, serve anche altro. “Migliorare questa squadra? Ora si può in un solo modo: cura maniacale di ogni singolo dettaglio”: ancora Sarri, ieri, nella conferenza stampa che ha preceduto il match di Empoli.
Al Castellani il Napoli ha messo a rischio un risultato ampiamente acquisito a fine primo tempo. Un pizzico di fortuna e, diciamocelo senza mentire a noi stessi, di incapacità degli avversari, ha evitato un pareggio che sarebbe stato atroce. È sintomatico quanto accaduto durante i minuti di recupero. Gli azzurri non sono riusciti a “perder tempo” , a spezzare il ritmo degli avversari, nemmeno per trenta secondi. La furbizia, la scaltrezza, non sono elementi di questa squadra. E, dopo la partita, è stato ancora Sarri a sottolinearlo: “Dopo episodi del genere un allenatore deve stare zitto per vedere quale giocatore ha la mentalità giusta. Chi rientra dopo il 3-2 tirando un paio di madonne ha la mentalità giusta. Qualcuno c’è stato che era furioso, speriamo che il gruppo si aggrappi a quei 2/3″.
Sì, avete letto bene: 2/3. Tanti sono stati i calciatori a mettersi in discussione dopo una vittoria che stava per trasformarsi in un dramma sportivo. Colpa sicuramente anche della giovane età di tanti azzurri, non abituati a reggere in maniera continuativa tensioni e stress – sia fisici che mentali – derivanti dall’essere impegnati su più manifestazioni.
Come si può ovviare a questo problema? Il calcio non è una scienza perfetta. Non esiste un’equazione che possa risolvere la questione. Si può provare a innestare, su un telaio florido come quello partenopeo, un paio di campioni già affermati, che sanno come si vince e possono guidare i più giovani: non è – purtroppo o per fortuna (dipende dai punti di vista) – la filosofia della società. La soluzione potrebbe allora essere quella proposta dallo stesso Sarri. Cura maniacale di ogni dettaglio e scendere in campo brandendo fuoco dagli occhi. Ma è un discorso che avrà una logica solo a un patto: che in estate vengano confermati tutti, tecnico e calciatori. Altrimenti, bisognerà ricominciare daccapo un processo di crescita che, in questo modo, non arriverà mai ad una definizione precisa.
Vincenzo Balzano
Twitter: @VinBalzano
Articolo modificato 19 Mar 2017 - 20:41