Quando un gesto riesce spontaneo è sempre, in un modo o nell’altro, più bello, più dolce, più piacevole. Quando un gesto è spontaneo è inevitabilmente genuino, proviene da logiche sentimentali e accantona quelle del mero calcolo. Genuinità e spontaneità non sono caratteristiche che si possano trovare per caso o acquistare, provengono dal profondo. Più dal cuore che dal cervello. In ambito calcistico la spontaneità è un’arte di pochi, l’anteporre istinto e cuore al cervello e al calcolo non è facile. Appartiene perlopiù ai giovani, la cui passione supera le regole economiche e fiscali del gioco oltre il campo.
Questo post in breve
Amadou Diawara è giovane. Ed è spontaneo. Ed è genuino. Ha la leggerezza dei bambini che giocano sotto i porticati e sui marciapiedi, nei campetti parrocchiali e in quelli delle scuole, intrufolandosi nell’orario di chiusura. Ha la noncuranza verso il mondo ed il tempo che soltanto un fanciullo può avere, quando ripercorre nella sua fantasia le orme del proprio idolo. Il bambino può chiudere gli occhi e volare con la mente, dipingersi dinanzi a 60 mila persone che lo acclamano. Come Amadou. Che, però, le 60 mila persone le trova davvero dinanzi ai suoi occhi. Poco importa: esistono solo il pallone e gli altri ventuno in campo, il resto appartiene a un mondo che – almeno nei 90 minuti – non esiste.
Diawara piace, quando si muove agilmente nel suo fazzoletto di campo, perché ha noncuranza. Non sembra patire le pressioni, né degli avversari e né dell’occorrenza, dell’evento. Una gara di Champions può avere la stessa valenza di un’amichevole. O d’una sgambata su un campetto di asfalto insieme ai bambini. Il pallone è universale e Amadou lo gioca allo stesso modo in ogni opportunità, in ogni circostanza. Sì, è questa la caratteristica che più addolcisce il cuore, che forse fa amare ancor di più l’essenza primordiale del calcio.
Dato da non sottovalutare: Amadou non ha ancora 20 anni. A quell’età in genere si studia, s’inseguono sogni, si progetta il futuro. Con leggerezza, sì, perché la vita va ancor presa come un gioco. E a 20 anni, davanti a 60 mila tifosi esigenti, in un palcoscenico d’élite , potrebbero tremare le gambe.
Nah, macché! Non a Diawara, che di pane duro ne ha mangiato e ne continuerà a mangiare. La partita con la Juventus è un elogio alla bellezza calcistica: Amadou è il più giovane dei 22 in campo, ma al tempo stesso il migliore. E i rumori su Higuain non possono offuscare una prestazione da applausi sinceri. Il ragazzino con la 42 sulle spalle strappa i consensi più spontanei. Ha le geometrie del regista, la grinta e la fisicità del mediano, la corsa di un’ala.
Sembra appartenergli persino il dono dell’ubiquità, quando rincorre ogni pallone sdoppiandosi sul terreno da gioco. Diawara e i suoi gemelli, i suoi cloni, divorano ogni centimetro di campo.
Sarri l’ha saputo gestire, è stato bravo a mandarlo in campo dal primo minuto, preferendolo a Jorginho. Grazie a lui la mediana del Napoli ha surclassato quella della Juventus, che invece aveva stravinto il duello sulla fisicità nella gara di domenica. E poi le geometrie. No, non dimentichiamocene. Che bella la finta su Khedira con conseguente lancio! I numeri parlano chiaro: Diawara è stato il calciatore più impegnato (108 passaggi), il più preciso (93,5% la percentuale di appoggi riusciti), il più arcigno (5 tackle e 4 interdizioni). Per farla breve, è stato un calciatore completo. E il migliore in campo, sia ben chiaro.
(LEGGI QUI: LE PAGELLE DI NAPOLI-JUVENTUS)
A soli 20 anni, il futuro è tutto da saggiare, assaporare, gustare e scoprire. Che sia con la maglia del Napoli o con quella di un club ben più blasonato.
Di certo, lo accompagnerà la spontaneità nel muoversi, nel giocare a calcio. Quella – per fortuna – non l’abbandonerà mai.
Vittorio Perrone
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Articolo modificato 6 Apr 2017 - 01:34