Nato il 23 marzo 1965 ed irpino doc, Gigi Pavarese ha avuto il piacere di lavorare a Napoli, contribuendo a formare la squadra in cui giocava anche Maradona, e a Torino con Luciano Moggi. A pochi giorni da Torino-Napoli, sfida che lo riguarda da vicino visti i trascorsi in entrambe le squadre, l’ex direttore sportivo azzurro e granata ha rilasciato una bella intervista in esclusiva ai taccuini di SpazioNapoli.it, in cui ha cercato di unire in dialogo presente e passato degli azzurri, di spiegare a parole cos’è “il sarrismo” e ha accolto con parole piene d’amore quella che per i granata simbolizza una vera e propria alba nuova: l’apertura ormai prossima dello stadio Filadelfia.
Domenica si affrontano due squadre che la riguardano molto da vicino…
“Indubbiamente, è una sfida che mi coinvolge molto. A Torino e a Napoli, come direttore sportivo, ho vissuto due momenti importanti per la mia carriera. Spero che il Napoli dia ai tifosi quello che io, nel mio piccolo, ho cercato di regalare a loro”.
Negli ultimi anni, il Napoli ha posto le basi per una crescita importante. Secondo lei, cosa manca ancora alla squadra per compiere il definitivo salto di qualità?
“La società è forte ed è cresciuta in maniera esponenziale. Di tecnica e di classe ne ha da vendere e inoltre ha la fortuna di essere allenata da un allenatore tra i migliori d’Europa. Sarri è indubbiamente stata una scelta rivelatasi felicissima. La sua abnegazione e la sua fame sono caratteristiche che rispecchiano la mentalità della squadra. Se il Napoli, oggi, è a certi livelli il merito lo si deve dare soprattutto alla società. Tanti meriti li ha anche un uomo che spesso opera dietro le quinte, pur sapendo tanto di calcio, e questo a volte è un peccato perché spesso molti meriti non gli si vengono riconosciuti. Parlo di Cristiano Giuntoli. È un professionista serio e merita tanti complimenti. L’unica sfortuna del Napoli, a mio avviso, è di aver incontrato difronte a sé una Juventus che nella sua storia è nel momento migliore in assoluto. Siamo sempre stati ispirati dalla Juve, per la mentalità e per la fame di successi; quella voglia di dimostrare di essere i più forti, quella determinazione che non si riconosce in molti e giustamente stanno meritando tutto ciò che hanno ottenuto e stanno ottenendo tuttora. Ora auguriamoci che l’anno prossimo possa essere l’annata del Napoli. La città e i tifosi lo meritano tantissimo”.
Se lei dovesse spiegare a parole cos’è “il sarrismo”, cosa direbbe?
“Il sarrismo è il calcio. Per mettere in essere determinate idee bisogna avere la fortuna di poter contare su calciatori professionisti, che credono nel loro allenatore e seguono le sue direttive”.
Un pensiero sul trio Callejon-Mertens-Insigne, che in questa stagione ha fatto e ancora fa grandi cose.
“Il merito va tutto a Sarri e a un momento di disperazione dovuto all’infortunio di Milik, un giocatore scelto per “sostituire” un altro giocatore che aveva battuto tutti i record in zona realizzativa, Gonzalo Higuaìn. Sembrava essere quasi una bestemmia il fatto di non aver dato al tecnico un altro attaccante in un momento così difficile. Quando penso a questa situazione, mi viene spontaneo ricordare quell’Avellino di Luis Vinicio nella stagione 1980-81. Fu una stagione funesta, ricca di peripezie: il 23 novembre, il terremoto; si partiva con dei punti di penalizzazione, il mercato era già chiuso…la squadra era ormai condannata. Ma poi, quando tutti la davano ormai per spacciata, Vinicio si inventò un attacco potentissimo, composto da Massa, Vignola e Criscimanni. E alla fine l’Avellino si salvò, mettendo in mostra un gran bel calcio. Adesso, quella che sembrava quasi una bestemmia, Sarri è riuscita a tradurla in un prodigio pazzesca, grazie anche all’intelligenza tattica dei giocatori, soprattutto di Insigne, vero ago della bilancia”.
Che differenze designa tra il suo Napoli e quello odierno?
“Quello in cui ho operato era certamente un altro Napoli, che annoverava il più forte giocatore di tutti i tempi: Diego Armando Maradona. Quella squadra venne impreziosita e resa più forte da giocatori di livello internazionali come Bagni, De Napoli, Giordano, lo stesso Carnevale, che all’epoca era un giovanotto. Calato in un ruolo che apparentemente non sembrava potesse ricoprire, Andrea, grazie soprattutto alla sua intelligenza e la sua abnegazione, riuscì a fare benissimo, a costruirsi un ruolo determinante e importante che lo portò a raggiungere livelli importanti e poi la Nazionale”.
Recentemente, proprio De Napoli ha detto che quel Napoli è stato la storia vera…
“Oggi il calcio è diverso, di quella squadra credo che De Napoli, Giordano e Bagni sarebbero tuttora titolari inamovibili. Quel Napoli ha fatto davvero la storia, ma forse ha vinto poco rispetto a quello che avrebbe potuto ottenere. Di trofei comunque ne ha vinti, è arrivato due volte secondo e due volte terzo. Insomma, anche i numeri lo confermano. Alla base c’era un gruppo di amici. Certo, era sicuramente un gruppo di professionisti, ma soprattutto un gruppo di amici. Il gruppo non è quello che si limita ad andare a cena la sera, che passa la serata al pub e poi, chi s’è visto, s’è visto! il gruppo si identifica quando ognuno dei partecipanti è pronto a sacrificarsi per il proprio compagno, quando si è coesi e si antepone il bene della collettività al proprio. Fortunatamente, io ho avuto la fortuna di creare sempre gruppi grandi, intrisi di sani principi”.
Quanto è stato importante un allenatore del calibro di Benitez per la crescita degli azzurri?
“Fondamentale. Soprattutto per la sua personalità, per la sua caratura internazionale. Il Napoli di Mazzarri era cresciuto e si era fatto apprezzare moltissimo per il suo gioco, ma purtroppo è stato sfortunato. E’ stato eliminato dal Chelsea di Di Matteo in quella disgraziata serata. Il Chelsea sarebbe presto divenuto campione. Quest’anno il Napoli è stato eliminato dal Real e chissà che gli azzurri non battezzino la nuova vincitrice della Champions. Benitez, comunque, è stato importante per il salto di qualità della società”.
25 maggio 2017, una data importante per il Toro. Quali sono le sue sensazioni a riguardo?
“Il Toro è il Toro: non c’è altro da aggiungere! La società è importante e forte, e ha fatto tanti sacrifici per costruire un organico forte. I granata hanno fatto la storia del calcio italiano. Il 25 maggio rinasce il Filadelfia, la casa degli invincibili, della squadra più forte che il calcio italiano abbia mai annoverato; squadra che solo il fato batté. E’ stata un esempio per tutte le grandi società, soprattutto perché era formata da uomini, in un calcio diverso, ma rapportati ad oggi, quelli erano uomini veri”.
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