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Trenitalia dovrebbe prendere spunto. O almeno offrirgli un contratto a tempo indeterminato. È che la puntualità con cui José Maria Callejon attacca il secondo palo è forse la costante più bella di un gioco che non ha eguali, né punti deboli. Né deficit di amore, poi. Perché resta nei cuori, oltre che negli occhi: dei napoletani, dei compagni, di Sarri. Che il numero sette, sì, l’ha voluto così: col sacrificio in una mano e la qualità nell’altra. Perché le fasi son due, e guai a limitarsi: si guasterebbero i meccanismi, si sporcherebbe il vestito più bello. Quello della domenica. Di ogni domenica.

ARRIVA CALLEJON

Ecco, basta attendere il momento giusto, lo scatto in profondità: poi l’esterno arriva. E poi va. In profondità, tra le linee, ripiegando sulla corsa forsennata di Belotti nel primo tempo, quindi ricucendo sulle timide avanzate di Molinaro. È ovunque, e allora è imprendibile. È intelligente, e allora lo trovi quando ti occorre. È perennemente sulla linea dell’out, ma allo stesso tempo sa avanzare e sfondare quando deve. Non è solo spina nel fianco: è pericolo pubblico, un gancio secco ai pensieri vacanzieri dei difensori del Toro. E di quelli di mezza Serie A.

Tredici, le reti; undici invece è il numero degli assist. Indefinibile, invece, quello delle corse a perdifiato, degli inserimenti, di tutte le volte in cui è partito senza esser stato premiato. È fede anche quella. È sacrificio soprattutto questo. È un modo di stare al campo come si sta nella vita: fermi alla stazione delle occasioni, in attesa di catapultarsi sul treno giusto.

I numeri son belli perché sanno parlare, sanno dare l’idea, uniscono l’insieme e insieme uniscono i puntini della mappa personalissima di un giocatore fenomenale. Uno che unisce il bello al concreto, l’effimero all’indispensabile. Uno che per novanta minuti si sgancia dal mondo Napoli per farne parte al meglio, senza sbavature.
Poco da fare: per quanto pazzeschi, simboli e immagini associati a Callejon perdono importanza, spessore, ragione al solo mirarlo. Perché il doppio gioco tattico, la chiave di volta con cui Sarri l’ha consacrato, non è registrabile. È solo ammirabile.

UNIONE D’INTENTI, E DI TALENTI…

Il talento riconosce sempre il talento. Forse anche per questa ragione, Insigne e Mertens abbracciano lo spagnolo con un po’ più di foga, con un pizzico in più di voglia. Sanno che stagioni del genere, per certi versi irripetibili, creano sinergie ed unioni che poi restano per sempre. Probabilmente è per questo che sfortuna e punti gettati al vento, per un attimo, e solo per un attimo, non hanno più importanza: resta la pienezza di questa squadra, di questo gioco, di questi sorrisi. E resta una speranza, che si fa forte, che si riempie della stessa bellezza di cui sono forieri questi giocatori. E tornano i ‘magari’, le preghiere. I sussulti e le richieste. Pure un po’ di sana incazzatura. Anche i ‘perché’ senza risposta.

Eppure, José Maria Callejon, almeno per un giorno, ha spazzato via dalle strade di Napoli un po’ di dissapore. L’ha fatto con due gol belli, uno divorato, e pure un assist. L’ha fatto con i chilometri smaltiti, col serbatoio sempre pieno. Con i sorrisi che ha causato. E con la passione che ha generato.

Non poteva che farlo lui, del resto: è che il sacrificio, prima o poi, ti ridà sempre qualcosa. Per il futuro? Occorre sempre appellarsi ai detti, a quelli napoletani. “Addò c’è gusto, nun c’è perdenza”. E allora, José, tu continua a correre. Comunque vada, non perderai mai: né in campo, né l’affetto della tua gente.

Cristiano Corbo

Articolo modificato 15 Mag 2017 - 00:31

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Scritto da
redazione