Sono caduti in errore (e in delusione) i tanti che avevano sperato o addirittura pronosticato un successo della Juventus a Roma. E invece Bonucci e compagni sono usciti dall’Olimpico con le ossa rotte e un’emicrania ancora rimbombante. Colpa di un atteggiamento svagato, di qualche azzardo di troppo in formazione e di una finale da disputare tra quattro giorni. Cade in errore anche chi – però – parla di complotto, biscotto, fa del vittimismo. La Roma ha meritato la vittoria e adesso non resta che mettersi l’anima in pace. Perché al termine del campionato mancano appena due partite e i giallorossi dovranno battere Chievo e Genoa, non corazzate. È lì, lo spettro del preliminare, alita sul collo con fare minaccioso, mette i brividi al solo pensiero d’un’estate tribolata. Come quella del 2014. Colpa di un Athletic Bilbao che sporadicamente fa ancora capolino negli incubi dei napoletani, colpa dell’estate scellerata di tre anni fa. Per i più smemorati: 1-1 l’andata al San Paolo, 3-1 per i baschi al San Mames. Quest’anno, però (e quasi metteremmo la mano sul fuoco), non sarà come allora.
Per una questione prettamente qualitativa. La rosa attuale presenta qualche nome in comune con quella di tre anni fa, eppure il tasso qualitativo è cresciuto in maniera esponenziale. Non solo: è cresciuta anche l’attitudine del Napoli a certi palcoscenici. Il Mertens dell’epoca non era certamente il cecchino implacabile dei giorni nostri, Insigne ha attraversato una crescita imponente sotto tutti i profili, Hamsik ha ritrovato la continuità che nel biennio Beniteziano aveva quasi del tutto perduto. E poi il mercato, che tra giugno e luglio 2014 aveva indebolito il Napoli privandolo dei senatori Mazzarriani (Behrami, Dzemaili, Pandev) e imbottendolo di rimpiazzi che non riuscirono mai a lasciare una traccia o un ricordo (Michu e De Guzman).
Il Napoli è cresciuto con innesti mirati e subito inseriti nel giocattolo di Sarri, messo a capo di un progetto completamente nuovo. I singoli hanno attraversato un processo di sviluppo calcistico e umano: il gruppo oggi è affiatato, nello spogliatoio si respira un clima quasi idilliaco, malgrado il terzo posto e l’eliminazione dalle Coppe. E Sarri, a differenza di un Benitez perennemente nostalgico, ha intenzione di restare a Napoli malgrado le schermaglie e la (quasi) guerra fredda con il presidente.
Tra gli undici che misero piede in campo al San Mames (appena restaurato) di Bilbao figurava anche un Walter Gargano appena rientrato dal prestito al Parma e decisamente in rotta con i tifosi. Con i Nazionali reduci dalle vacanze post mondiale e a corto di preparazione, Benitez dovette fare di necessità virtù ed affidarsi ad un rientrante da rottamare, almeno sulla carta. Gli altri ingranarono tardi, Higuain segnò all’andata al San Paolo ma impiegò addirittura sette partite per sbloccarsi anche in campionato. La buona notizia è che quest’anno non sono previste competizioni internazionali né odissee transatlantiche per i nazionali azzurri. Con una rosa interamente a disposizione fin dal primo giorno di ritiro si può fare decisamente meglio.
Nessuno, però, vuole convincere i tifosi che il terzo posto sia al pari (o addirittura meglio) del secondo. Macché. Le differenze ci sono, economiche, di programmazione, di morale, di tensione. Però strapparsi i capelli e scoppiare in lacrime battendosi il petto e sentendosi già sconfitti non rappresenta l’atteggiamento giusto. Sia ben chiaro, il preliminare è un’insidia, quasi una condanna. Servirà, o meglio servirebbe, il Napoli delle grandi occasioni per arrivare ai gironi di Champions. Ma stavolta non sarà come il 2014.
Vittorio Perrone
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Articolo modificato 15 Mag 2017 - 12:16