Un pozzo di ricordi. “Ho 81 suonati”. Mino Favini, di storie, ne ha in abbondanza. Le ha vissute, raccontate. La storia, però, l’ha fatta. Gli uomini che cambiano il calcio lavorano perlopiù nell’ombra, senza palcoscenici o provocazioni. Senza il bisogno di vestire i panni della primadonna. Mino Favini il campo di calcio l’ha calcato fino al 1965, da attaccante tra Brescia, Atalanta e Como. Le fortune del calcio italiano derivano dalla mente di Mino. I più, addirittura, si interrogheranno sulla sua identità: forse non avranno neppure mai udito il suo nome.
Eppure la storia, Mino Favini, l’ha fatta nella sua Atalanta. Quasi venticinque anni da responsabile del settore giovanile, il tempo adatto per assistere alla crescita e all’esplosione di migliaia di ragazzi. La bandiera Bellini, per esempio. Baselli, Gabbiadini. I più recenti Conti e Caldara.
E Conti, autore di una stagione superiore alle aspettative, è già in orbita Napoli. “Sì, è la piazza ideale” spiega Favini ai nostri microfoni.
Molti affermano, a ragione, che il settore giovanile dell’Atalanta sia il migliore d’Italia. Come mai? Cos’ha in più nella sua organizzazione?
“Si fonda su criteri di lavoro ormai collaudati nel tempo. Io purtroppo non ci sono più, perché gli anni sono 81 e iniziano a pesare. Però i criteri di lavoro della crescita dei ragazzi sono gli stessi di sempre, hanno sempre dato ottimi risultati. Le ragioni sono queste, abbinate a dei ragazzi di buonissima qualità dei ragazzi, la facilità nell’inserimento e la correttezza nel seguirli”.
Ci racconta i suoi momenti migliori, le sue soddisfazioni più grandi, all’Atalanta?
“Sono stati quasi 25 anni veramente bellissimi, al di là dei risultati importanti ottenuti si lavorava serenamente. Avevamo la fortuna di lavorare con gente adatta alla crescita dei ragazzi, con un gruppo di persone collaudato. E’ tutto ciò che ho in mente di quel periodo”.
E Andrea Conti?
“Era uno dei ragazzi nei quali tutti credevano e in cui si sperava, lui è andato anche oltre le aspettative. Ricordo che fisicamente non era dotatissimo, invece l’ho rivisto ieri e l’altro ieri, ci ho parlato e l’ho trovato fisicamente più forte, irrobustito. Ha ottenuto quello che tutti speravamo ottenesse”.
Quali sono le sue armi migliori? Potrebbe tramutarsi in un’ala d’attacco?
“La caratteristica migliore è la corsa, la ripetitività nello scatto, sia in fase di difesa che di spinta. Sono qualità che gli permettono facilmente di arrivare al goal. Ne ha già segnati 8 quest’anno. Sì, potrebbe anche fare l’ala d’attacco, ma penso che svolgere la doppia fase sia l’ideale per lui: è bravo a dare una mano in fase difensiva e si fa trovare sempre pronto quando la squadra è in avanti”.
Lo vedrebbe bene nel Napoli?
“Si, assolutamente. Lo vedrei bene nel Napoli perché è la squadra che al momento esprime il miglior calcio d’Italia, sicuramente la squadra migliore sotto questo punto di vista. Napoli, poi, potrebbe essere la piazza ideale per la sua esplosione”.
A proposito di Napoli, Grassi può ancora imporsi all’ombra del Vesuvio?
“Sì. Alberto è un calciatore che all’occhio non sembra appagare subito le aspettative, ma con il tempo ci si accorge di quanto sia un elemento importante. Ricorda un po’ Marchisio, ma non saprei fare dei paragoni specifici. Sicuramente è un calciatore che gioca con un’intensità agonistica particolare, è adattissimo all’organizzazione difensiva ma anche alla situazione d’attacco e alla fase di costruzione”.
E Gabbiadini? Cosa non ha funzionato a Napoli?
“Questo non sono in grado di spiegarlo, forse non avete avuto molta pazienza con lui! Ora vedo che gli sta riuscendo bene tutto ciò che fa. Non riesco a capire come mai non si sia adattato, può essere colpa di un problema relativo al modulo”.
Una volta definì Andrea Belotti un suo rimpianto: come mai?
“Noi che siamo di Bergamo lo conoscevamo relativamente bene, però non lo abbiamo seguito e visto molto. Fra i tanti giocatori seguiti non aveva una grande considerazione. Poi il ragazzo è venuto a galla in maniera impressionante ed esponenziale, per cui si è meritato tutto quello che gli è capitato”
Altri due nomi: Bastoni e Melegoni.
“Fanno parte dell’Atalanta dei classe ’99, la generazione che ancora deve esplodere. Sono due dei ragazzi più importanti di quel gruppo, tra l’altro campione d’Italia. Tutta la squadra, a dire il vero, ha mostrato grandi qualità”.
A cura di Vittorio Perrone
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Articolo modificato 16 Mag 2017 - 16:26