Continua il giallo che vede Andrea Agnelli, presidente della Juventus, legato in qualche modo alla ‘ndrangheta.
L’edizione odierna del Corriere della Sera riporta le parole dell’accusa e la situazione sul caso: “L’accusa: «Nessuna pressione su Agnelli, ma il controllo del bagarinaggio. Dominello spuntò dal nulla nel 2012 e ottenne tutto: alla sua famiglia non servono presentazioni».
«La difesa di Dominello cerca di sviare l’attenzione sul fatto che Agnelli non ricevette alcuna pressione dalla ‘ndrangheta. È vero. Ma non è questo il punto. La ‘ndrangheta dal 2003 fece affari con i biglietti, Rocco Dominello aveva tutti i tagliandi che voleva». È uno dei passaggi della requisitoria dell’accusa che si è svolta ieri a Torino al processo Alto Piemonte.
I pm Paolo Toso e Monica Abbatecola hanno ribadito che sarebbero le ‘ndrine a regolare, da quindici anni, attraverso famiglie come i Belfiore, gli Ursini e i Macrì, «gli affari del bagarinaggio gestito dagli ultrà». E Rocco Dominello, l’imputato di 416 bis che incontrò Andrea Agnelli, non sarebbe soltanto un esponente dei Drughi di Montanaro. Ma un membro della malavita. Un uomo protetto dal padre Saverio, il quale aveva ammesso sia l’appartenenza alla ‘ndrangheta — per poi dissociarsi — sia l’intervento dei boss per risolvere liti interne alla curva.
«In questo panorama, a sorpresa entra Rocco Dominello» ha proseguito Toso, che ha ripetuto le parole di Loris Grancini, leader dei Viking, sentito come teste la scorsa udienza: «Spuntò dal nulla nel 2012 e ottenne tutto». Secondo i pm non ci sarebbe da meravigliarsi. Dominello non avrebbe avuto bisogno di presentazioni. In virtù della sua presunta appartenenza alla ‘ndrangheta, sarebbe stato in grado di «mantenere le tranquillità allo Stadium», compito che gli avrebbe garantito una «dotazione personale di biglietti tale da fargli guadagnare tremila euro a partita». I legali dell’indagato, gli avvocati Domenico Putrino e Ivano Chiesa, hanno dichiarato più volte che il loro assistito «è incensurato e non è un mafioso».