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Editoriale

Social network e calcio: chi trae beneficio?

Comunicazione significa letteralmente “mettere in comune “. Connettere intenzioni, sensazioni, pensieri, sentimenti, informazioni. Ecco informazioni. Con i social network che agiscono da veicoli 2.0. Flussi di parole o scatti fotografici che si travestono da notizia e ormai ne fanno le veci. I 140 caratteri di Twitter sono spesso spuntati, impulsivi. Eppure trovano incisività nella loro incompletezza. Dalla vaga meditazione alla libera interpretazione. Quella che crea scompiglio. E il calcio moderno ci sguazza. Ma ne siamo sicuri?

Twitter aveva ricevuto l’estrema unzione già un anno fa. Il crollo del numero di iscritti, l’incapacità di reinventarsi per fronteggiare le altre piattaforme. Intanto, regge ancora. Regge il suo assioma iniziale: la comunicazione in tempo reale. Una stringa che descrive uno stato d’animo, in quel preciso momento. Dove qualsiasi banalità ti permette di accedere ad un trend. Un tratto distintivo che ha legato sempre più i cinguettii al mondo del pallone, incuriosendo i tifosi e tramutandosi in fonte di sensazionalismi per i giornalisti.

Nel microcosmo Napoli, Pepe Reina è il vero fenomeno social. I suoi laconici tweet del post-cena a Villa Sant’Angelo, uniti a quelli della moglie e di altre ladies, non fanno altro che creare interrogativi e alimentare le malelingue. Scegliere di creare risonanza attorno ad una battuta poco gradita è oggettivamente infantile. È il trionfo del narcisismo, persino consapevole dei possibili effetti. Lo spagnolo è un veterano delle community e ha accettato la sfida da tempo. Presenza massiccia soprattutto su Twitter, una vicinanza virtuale alla gente che è divenuta paradossalmente un boomerang nei suoi momenti più complicati. Una sovra-esposizione che finge familiarità per poi perdersi in distanze incolmabili.

Scegliere l’esibizionismo è ammissibile, soprattutto per ragazzi di quell’età. In fondo tutti noi se creiamo un account Facebook è per coltivare il seme dell’apparenza che conserviamo nell’anima. Ma l’etichetta che caratterizza un determinato personaggio, alla lunga, difficilmente si rende riciclabile. Così i Nainggolan o i Balotelli di turno, per citarne due a caso, saranno continuamente pedinati in rete alla ricerca della prossima frase da copertina. Senza considerare le violazioni della privacy: inondare di qualsiasi commento i post su Facebook o Instagram della moglie di Mertens per intromettersi nella loro relazione sentimentale è divertente sì, ma con dei limiti. Così come non siamo certi che Insigne volesse annunciare al mondo l’acquisto della sua nuova BMW, ma ci ha pensato la concessionaria tramite il suo account Facebook. Per chiudere, infine, con quei panni sporchi da lavare in casa. Dai mal di pancia dei calciatori agli attacchi al veleno dei procuratori (leggi Nicolas Higuain o Mino Raiola a tuo piacimento).

Ma i social network sono anche aggregazione digitale. Un modo per lasciare che i tuoi idoli scendano dal piedistallo e ti abbraccino, rispondano alle tue invocazioni e, talvolta, ti insultino. Bella l’iniziativa #Ask promossa dall’SSC Napoli sulla sua pagina Facebook per consentire a tutti i tifosi napoletani di interagire con uno dei propri beniamini a cadenza settimanale. Qui, però, fuoriesce tutta la freddezza nei rapporti umani che traspira da questo mezzo. Domande generalmente scontate con risposte più o meno standard in un lasso di tempo piuttosto limitato. Eppure tutti entusiasti. Giornalisti compresi, con pezzi già impacchettati seppur privi degli ingredienti principali: domande e risposte. Nessuna verità scomoda e niente sale, un format che inevitabilmente pecca in autenticità. Dimostrando come, malgrado ostenti un atteggiamento anarchico, anche il mezzo di comunicazione più tagliente può essere imbavagliato e rapito dal potere prestabilito.

Ivan De Vita

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