Una beffa al 90’. L’epilogo dell’ultima giornata 2016/2017 è la sintesi perfetta della stagione del Napoli. Un crescendo di emozioni e soddisfazioni, legate strettamente ad una serie di piccole sfortune e combinazioni negative. Con tante struggenti illusioni, in campionato e nelle due coppe. Fino alla zampata di Perotti, l’ennesimo e immeritato smacco. Ora testa ai preliminari. Prima, però, voltiamo un attimo le spalle. Rewind.
È stata, innanzitutto, la stagione dei record. Uno spettacolo circense con numeri da strabuzzare gli occhi. Record di punti in una sola annata, di gol in serie A, di vittorie in trasferta, di giocatori in doppia cifra. Un’orchestra fenomenale il cui maestro, insignito già di vari premi dalla critica, non smette mai di incantare. Il primo sulla panchina partenopea a vincere un girone di Champions League, il primo a qualificarsi nella massima competizione continentale per club per due anni consecutivi (anche se quest’anno con lo scoglio spareggio in pieno agosto). Il primo, molto probabilmente, ad essere amato dalla volubile platea partenopea solo per l’idea di calcio che trasmette. Malgrado non avesse battuto la Juve. 28 le marcature di Mertens, più di quelle di Cavani nel 2010/2011 e con l’handicap di essere schierato come prima punta solo da ottobre in poi. Statistiche che fanno riflettere: inutile pensare a ciò che sarebbe potuto essere, occorre lavorare su ciò che questa macchina infernale può diventare.
È stata la stagione dei 9. Da quello fasullo scappato via ad agosto scorso al falso nueve con il quale abbiamo chiuso a maggio. In mezzo l’esplosione di Milik attenuata dal pesante infortunio. Tante le remore sulla sostituzione di Higuain, certamente imprevedibile il rendimento dei suoi sostituti. Con la chicca Dries, il folletto capace di reinventarsi alla soglia dei 30 anni. Non solo per meriti propri, sia chiaro. Lui e Arek rimarranno ai piedi del Vesuvio, più vogliosi che mai. Con loro lì davanti cementificare tutto il resto sarà senza dubbio più facile.
È stata la stagione dell’old and young. Rog (classe ’95), Diawara (classe ’97), Zielinski (classe ’94) hanno spesso spinto Sarri a vedere questo Napoli più competitivo di quello con il Pipita. E quante critiche per l’utilizzo iniziale col contagocce dei primi due. Una volta pronti si sono fatti sentire. Basti ricordare le movenze da veterano di Mamadou al Bernabeu e l’atteggiamento da mastino del croato nello scontro diretto con la Roma all’Olimpico. Piotr, beh, lui è un fuoriclasse. Deve solo crescere in consapevolezza e continuità. La linea verde del centrocampo azzurro si è sposata splendidamente con l’esperienza di Jorginho e la nuova giovinezza di capitan Hamsik, sempre più simbolo di questo Napoli. Il carisma di Pepe Reina e Raul Albiol sono l’anello di congiunzione, la professionalità di un immenso Christian Maggio un calcificante. L’esempio degli anziani, l’entusiasmo dei giovani. Il binomio da sollevare come fosse uno stendardo.
È stata la stagione di Callejon e Insigne. Lo spagnolo è la bevanda che disseterebbe qualsiasi allenatore. Maratoneta dai piedi delicati, collante per ogni occasione. Ovunque possa rendersi utile, lui c’è: in una profonda copertura difensiva o sul proverbiale taglio di Lorenzinho. Tra i migliori in Europa per il rapporto minuti giocati/assist/gol. Sono 4 anni che si cerca qualcuno per fargli tirare il fiato di tanto in tanto. E puntualmente l’andaluso le gioca tutte, con rari momenti di appannamento. Sull’altra sponda la consacrazione del Magnifico da Frattamaggiore. Sorprendente se si pensa alle diatribe contrattuali della scorsa estate, le prime gare svogliate che di platino avevano solo il colore dei suoi capelli. La svolta in quel di Udine, da quella doppietta in avanti sempre più uomo-squadra. Decisivo, umile e addirittura trascinatore. Senza eccessive esuberanze e con tanta qualità, al punto che in molti vorrebbero rispolverare per lui un numero accantonato nelle pieghe del passato…
È stata la stagione in cui abbiamo ritrovato il Real Madrid. Dopo 30 anni. Come dimenticarlo. Come dimenticare l’invasione pacifica e gioiosa dei 15mila napoletani in terra spagnola. Il gol di Insigne nel loro tempio, quei dieci minuti di un sogno apparso interminabile. L’adrenalina di accogliere i galacticos a Napoli, la città in fermento. 45 minuti nei quali i giganti son parsi tutt’altro che irraggiungibili. Un’esperienza fantastica ed educativa per società, giocatori e per la stessa piazza partenopea. Misurarci con i mostri sacri è nel nostro Dna, capire come competere è la prossima fase di studio. Possibilmente sullo stesso palcoscenico.
È stata una stagione piena di scaramucce. Le frecciatine a distanza con Higuain, prima della puntata clou al San Paolo in Coppa Italia. Poco male se la comunicazione interna invece fosse liscia e trasparente. Invece i battibecchi a mezzo stampa tra Sarri e De Laurentiis invitano a nozze il tourbillon mediatico, minando la serenità dell’ambiente. Le uscite inopportune del presidente, prima su tutte la sfuriata ingiustificabile del post-Bernabeu, potrebbero alla lunga deteriorare i rapporti con il tecnico. Se si cerca una strada per non dare seguito a quanto costruito finora, questa è la soluzione più affidabile. Le battutine rivolte a Reina a Villa d’Angelo e le reazioni social di Pepe e consorte sono un altro esempio di litigi da ridurre all’osso. Stile comunicativo e strategie di mercato conservative sono i fastidiosi dossi sui quali rallenta il cammino azzurro. Si tratta di convinzione nei propri mezzi e lotta all’incompiuto. Quella 2016/2017 è stata un’ottima annata. Cosa manca per essere vincente? Forse, al netto di qualche sfiga d troppo, basterebbe semplicemente ripeterla. Per adesso, che dirvi. Grazie Napoli!
Ivan De Vita
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