Le luci della ribalta danno fastidio. Che sia nel teatro di Dimaro, che sia con affaccio campionato: la sintesi è che Sarri vive il calcio come una giornata al mare. Sa quando ‘bagnarsi’ dei complimenti, ‘asciugarsi’ dalle aspettative. E soprattutto: pagherebbe pur di restare all’ombra quando il sole scotta troppo, quando il rischio di ustionarsi è più forte del bisogno di abbronzarsi. E cioè di diventare finalmente grandi, belli, lucenti. Vincenti.
Ma Dimaro non è una località balneare, e nemmeno il mister si nasconde sotto gli occhiali da sole: le risposte si alimentano del momento, sono un flusso di credenze ben precise. E tutte in ordine: il preliminare, il mercato, i giovani e pure la Cina. Storie che s’intrecciano e toni che inquadrano. Segreti, inevitabilmente, che si svelano.
Questo post in breve
Il fiume in piena ha più possibilità di bloccarsi, mettiamola così. Anche perché la questione viene sintetizzata in due passaggi: “La squadra che ha vinto gli ultimi sei scudetti sta proseguendo sulla stessa strada”, in primis. E poi quel “non si batte il mondo attuale controllato dalle multinazionali” che conferisce un tocco pseudo comunista nella lotta al potere. È che pesa, questa situazione. Pesa da sempre per Sarri stare dall’altra parte della barricata, attuare l’ennesimo miracolo e non avere supporto ergonomico sui sogni. Sa che bloccarsi, farlo ora, sarebbe letale: per lui e per la crescita. Ma prende atto, si rimbocca le maniche e pensa al campo: il fare rassegnato però resta, e un po’ preoccupa alla luce di una stagione importante come poche.
“Spero che i miei ragazzi crescano il più in fretta possibile”. Cosa vuol dire? Che di certezze vere non ce ne sono. Per intenderci: si riparte da zero, ma il vero obiettivo è non snaturarsi e mantenere la leggerezza mentale dell’ultima parte di scorsa stagione. Serve volare, in fondo: senza per forza prendere un passaggio dalle ali dell’entusiasmo. Anzi: evitandole accuratamente. Che se c’è un modo per arrivare fino in fondo, quello è sapersi misurare testa e cuore.
Categorico. Senz’appello. E soprattutto: senza alcun dubbio. Milik parte dietro: è una questione di gerarchie, di coesione di gruppo, di fiducia totale nel giocatore. Di turnover necessario ma non fondamentale. Sarri abbraccia nuovamente l’integralismo, in conferenza. Come se temesse di stravolgere un microcosmo di certezze che resta l’unico motore (e forse l’unico motivo) che lo spinge ancora oggi ad allenare questa squadra. Un problema? Non necessariamente: chissà, forse addirittura La motivazione.
La verità più verità di tutte: questa squadra, per il suo allenatore, non è pronta per vincere lo scudetto. Non può esserlo se sul mercato sono arrivati giocatori complementari e non spacciatori di emozioni. Quel che risalta, quel che si sente, quel che percepisci anche dallo sguardo è un senso di delusione. Un senso quasi di affettuosa arrendevolezza. Non che si parta col piede fuori dalla lotta, ma che serva un vero e proprio intervento divino per trasformare in realtà milioni di sogni. Giusto fantasticare, un po’ meno crederci sul serio.
Dei diktat ha sempre riso. Anche perché lui e il campo sono amici di vecchio corso, quindi il resto è una conseguenza che dovrà accettare, in quanto figlia dei tempi che corrono e che rincorrono questo Napoli. Come una tournée estiva, come i chilometri masticati e per una preparazione stravolta: quanto si è davvero lontani, lo sa solo la società. “Dipendesse da me, non lo farei mai”: Sarri ha bruciato ogni pelo sulla lingua con una frase che si fa sentenza, che apre anche altri scenari per il futuro. Un giorno, lontano, sarà tempo di crescere. Un po’ per tutti. Magari non per questo pubblico (“meraviglioso, ma situazione stancante a lungo andare”), che incamera i momenti e li trasforma in entusiasmo. Questo neanche il ‘pessimismo giustificato’ del tecnico potrà intaccare.
Dal nostro inviato a Dimaro, Cristiano Corbo
Articolo modificato 23 Lug 2017 - 23:43