Spalla a spalla con dei veri e propri guru del calcio mondiale. Pagine importanti del calcio degli anni 2000 che si materializzano, tutte caratterizzate da un timbro, da uno stile inconfondibile. Maestri ad un tiro di schioppo, con i loro trionfi a precederli: dalle imprese del Borussia al miracolo targato Atletico Madrid. Un contesto importante a cui aggiungere un tocco – e che tocco – in più: uno degli allenatori più vincenti della storia del football ad ogni latitudine. Carlo Ancelotti, Diego Simeone e Jurgen Klopp, in tre 32 trofei in carriera, in fila, per gradire. Con loro, appunto, Maurizio Sarri. E quel processo di crescita che va oltre l’età anagrafica che prosegue incessante, senza soluzione di continuità alcuna.
L’Audi Cup per il Napoli, per il tecnico azzurro – soprattutto – è anche questo. Un confronto con l’elité del rettangolo di gioco che rappresenta l’ennesima tappa di un percorso, di una storia romantica e avvincente, fatta di cadute e ripide risalite, senza lesinare qualche affanno. Scelte a primo acchito apparse persino avventate. Sconfitte brucianti e qualche dubbio che si insinua, per poi sparire al cospetto della consacrazione. Quella che permette di presentarsi a testa altissima in determinati contesti, di confrontarsi con tecnici un tempo ammirati da lontano e che ora sono lì, attendono, da avversari. La forza dell’idea e del lavoro, insieme. Sarri in tutto e per tutto, senza troppi giri di parole.
Lì, tra i grandi, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ma in particolare con i suoi punti di forza. Tra questi l’umiltà, tipica di chi ad ogni traguardo non smette, mai, di guardarsi indietro. Lo sguardo sornione e talvolta emozionato allo stesso tempo in conferenza più di una cartina da tornasole. “Mi sento un po’ un intruso, perché loro tre hanno vinto tanto più di me”. Memorandum per chi paventa presunti Scudetti del bel gioco, come difesa d’ufficio all’accusa di una bacheca vuota a fine stagione. Per Sarri, più di tutti, vincere è un punto d’arrivo, fa la differenza. Eccome. Un obiettivo imprescindibile per tracciare un solco. Perseguirlo senza snaturare le proprie idee non ne smorza la fame, anzi, l’accresce. Gara dopo gara, giorno dopo giorno. Ogni stagione come un nuovo tassello di un progetto che non può non prendere in considerazione il profumo dell’alloro finale. L’ebrezza inconfondibile da gradino più alto del podio.
Fame e umiltà, allora, all’unisono, in un connubio inscindibile, ferreo. Il modo migliore per apprestarsi a vivere una nuova annata. L’Audi Cup come antipasto, poi i playoff Champions. Che si parta, allora, perché la voglia di cominciare a mettersi a regime, sentirsi meno un intruso, non manca. Anzi, brucia dentro.
Edoardo Brancaccio
Articolo modificato 31 Lug 2017 - 19:10