Audax fortuna iuvat? Non sempre, non in Europa. Perché il Napoli formato europeo, nella gestione del patron Aurelio De Laurentiis, di audacia ne ha sempre – salvo rare eccezioni – sciorinata a profusione. Ma come contrappeso è sempre stata la sorte a voltare le spalle, quasi un’abitudine. Una prassi acclarata e – ormai – persino accettata quasi con rassegnazione dai sostenitori partenopei.
LA STORIA
Urna malevola, talvolta quasi cicuta da trangugiare tutta d’un sorso. Nyon, Cantone Vaud della Svizzera francofona, difficilmente terra di conquista. Con gli accoppiamenti che negli anni hanno sempre regalato sorprese. E per nulla gradite. In cima alla lista, ci mancherebbe, i due – unici nella storia azzurra – ottavi di Uefa Champions League. Le due future vincitrici della competizione, neanche a dirlo, sul percorso degli uomini di Mazzarri e Sarri. Il Chelsea di Di Matteo da outsider dura e pura, ma il valore dei blues da un punto di vista tecnico e dell’esperienza rendeva già di per sé l’impresa titanica, come naturale per una squadra all’esordio assoluto nella fase finale dell’Europa che conta. E dire che sfuggì di un soffio. Per il Real Madrid basta la parola, le 12 leggendarie fatiche d’Ercole trasfuse in un dentro/fuori al limite dell’impossibile. In entrambi i casi eliminazione a testa alta, altissima. Ma il risultato resta, con l’annesso acre retrogusto che lascia in dote ogni sconfitta.
Quattro sfide, il punto più alto di questa malasorte in tinte partenopee. Ma con un ex aequo mica da ridere: perché anche il Napoli della gestione Benitez, come quello di predecessori e successori, non si è fatto mancare nulla da questo punto di vista. Champions 2013-2014: girone al limite composto da Arsenal, Borussia Dortmund e Olympique Marsiglia. Gare ad altissimo livello, classifica tiratissima fino all’ultimo istante, e un record che difficilmente verrà scalfito: mai nessuna squadra era stata eliminata ai gironi con 12 punti in classifica nella storia della competizione, quattro vittorie che non bastarono. E fu retrocessione in Europa League. Un po’ come nei maledetti playoff Champions dell’estate successiva contro l’Athletic Bilbao. Non andò meglio al già citato gruppo della stagione 2011/2012, che a Stamford Bridge approdò dopo un girone da spezzare il fiato. Più che un sorteggio, un cazzotto alla bocca dello stomaco. Esordio in Champions League e girone capace di far impallidire uno qualsiasi dell’inferno dantesco: Bayern Monaco – poi finalista e sconfitto dal Chelsea – il Manchester City sfornato a suon di petroldollari e il sempre ostico Villarreal. In quel caso però, quel gruppo forgiato dal talento – immenso – di alcuni suoi interpreti e poi permeato a immagine e somiglianza del tecnico toscano l’impresa la fece. Eccome.
Finita qui? Macché, ancora un passo indietro: chiedere a Edy Reja. E quel tanto agognato ritorno europeo dopo anni di oblio. Profumo, inconfondibile, d’Europa dopo l’inferno. Tragitto agevole contro Vllzania e Panionios, poi tutta l’esperienza internazionale del Benfica, guidato da un rampante Angel Di Maria, a sbarrare la strada per l’Europa League. E l’anno dopo? Anfield ai gironi e Villarreal ai sedicesimi, dove fu l’esperienza – sempre lei – a fare la differenza nella doppia sfida. Ancora il sottomarino giallo, tra le peggiori alternative possibili, nella prima volta europea di Maurizio Sarri. E in quel caso, più che l’abitudine a certi palcoscenici fu la sorte – sempre lei – basti rivedere il goal qualificazione di Pena al San Paolo.
IL PRESENTE
Nuova stagione, vecchie abitudini. Sulla strada per la Champions – sarebbe la prima volta che il Napoli partecipa alla competizione per due stagioni di seguito – la peggiore nel lotto delle non teste di serie. Quel Nizza che a lungo ha conteso la Ligue 1 a Monaco e Psg. Il Nizza di Balotelli e Plea, di Seri e Dante. Avversario da prendere con le molle e già ampiamente in clima campionato. Guai a sottostimare ogni singolo istante della doppia sfida. Ma il Napoli, questo Napoli, parte con ogni favore del pronostico e un unico imperativo. La storia cambia verso, dimostrazione piena, totale, nel fatto che sono gli avversari a dover temere gli azzurri, non il contrario. Resta l’unico appunto, la solita storia che proprio nella terra della cabala, della scaramanzia, stride un po’. Non c’è che dire.
Edoardo Brancaccio