Esistono parecchie tifoserie difficili da conquistare, esigenti. Ma il pubblico napoletano, come tanti elementi propri della città, presenta caratteristiche uniche, anche quando si tratta di amore e fede calcistica. Non tollerano tradimenti, offrono un amore spassionato, irrazionale, ma in cambio chiedono altrettanto. Un amore che va oltre la durata, un amore quasi senza tempo. Ma che fa dell’intensità il proprio punto di forza.
Lo ha capito perfettamente Maurizio Sarri, nelle sue 99 panchine in azzurro. A Verona saranno 100, un numero perfetto per un “nuovo inizio”. Le prime cento pagine chiuderanno il primo capitolo della storia azzurra del tecnico toscano. Pagine che hanno raccontato di un allenatore arrivato in maniera umile, in tuta, che per consacrarsi fra i grandi allenatori del calcio ha dovuto sudare, e parecchio. «Sarri, grazie per le emozioni. Ti realizzi attraverso la bellezza» gli disse una volta Arrigo Sacchi.
La lunga gavetta lo ha portato sotto il Vesuvio, che lo ha visto nascere nel lontano 1959. Dopo l’addio di Rafa Benitez, manager apprezzato da tutta Europa, il presidente De Laurentiis, prendendosi tutte le responsabilità del caso, e rischiando di pagarne le conseguenze, ha puntato su un tecnico meno conosciuto e poco appariscente che, però, riusciva a dare un’impronta particolare alla propria filosofia di gioco. L’inizio di ciò che è tutt’ora il Sarrismo, un vero e proprio movimento nato sui social e consolidato fra il popolo partenopeo.
È un lavoro duro, complicato, stremante, quello necessario a ricambiare l’amore dei napoletani. Ma di certo appagante come pochi. E per portarlo avanti servono persone particolari.
Serve uno come Maurizio Sarri.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo modificato 19 Ago 2017 - 08:04