I sorteggi dell’Europa League hanno disegnato il cammino europeo del Napoli a partire da Lipsia. Gli azzurri non affronteranno solamente una squadra, ma un nuovo modo di fare calcio che pare essere molto efficiente. Eppure a qualcuno non piace.
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Dal produrre energy drink al mettere le mani sul calcio mondiale, il passo è più breve di quanto possa sembrare. Lo sanno bene quelli della Red Bull, che dal 1 aprile 1987 (data della vendita della prima lattina) a oggi hanno costruito un impero ramificato in ogni ambito, soprattutto quello dello sport.
L’azienda austriaca può vantare ricavi annui che toccano i 6 miliardi di euro, per larga parte investiti nel mondo dello sport. Ci limitiamo a focalizzarci sul calcio, terreno recente quanto fertile per Red Bull, che investe nel mondo del pallone dal 2005. Il primo tassello del loro impero lo hanno messo a Salisburgo, colonizzando di fatto la città: nome, logo, colori sociali, stadio, tutto nuovo. Ma soprattutto, vincente: 7 campionati in 10 anni, una vera rivoluzione.
Rimanere nei propri confini però sarebbe stato troppo riduttivo per un’azienda che vuole conquistare il panorama mondiale. Nel 2006, con le stesse dinamiche di Salisburgo, Red Bull ha messo piede a New York, nella MLS. Una corsa senza freni che porta dritti in Brasile, dove nel 2007 l’energy drink ha fondato una squadra a Campinas portandola a competere con i club storici del campionato carioca. Esperienza meno fortunata in Africa, dove i costi elevati hanno stroncato il progetto nel 2014, 6 anni dopo la sua nascita.
Un impero in costante crescita, guidato da ambizione sì, ma anche e soprattutto intelligenza imprenditoriale. Si giustifica così la scelta, fatta nel 2009, di investire nell’ex Germania Est e rilanciarla dal punto di vista calcistico. Lipsia è un punto d’arrivo per Red Bull, che aveva puntato sul SSV Markranstädt, squadra di quinta divisione. Ancora una volta la missione “brutto anatroccolo” ha dato i suoi frutti.
Particolarità e novità dell’esperienza tedesca: niente marchio nel nome della squadra, a differenza del modus operandi perseguito da Red Bull fino a quel momento. A impedirlo è una regola della federazione tedesca, comunque aggirata: il nome completo diventa RasenBallsport Leipzig, quindi RB Lipsia, con chiaro richiamo alle iniziali dell’azienda.
Una volta cambiato il nome e spostata la squadra a Lipsia, è cominciato il glorioso cammino di un’outsider del calcio tedesco. Dalla quinta serie alla Bundesliga in 7 stagioni, fino a raggiungere la qualificazione in Champions da neopromossa la scorsa stagione. È questa la vera svolta dell’ultima creatura Red Bull, la Champions League.
Nell’anno del Lipsia è arrivata la prima tanto attesa qualificazione in Champions anche per l’altra squadra europea, il Salisburgo. Quello che però sembra essere un successo, è in realtà una trappola burocratica: l’UEFA non vuole iscrivere due squadre appartenenti alla stessa proprietà. Tutto risolto in breve con una scappatoia burocratica: Red Bull è proprietaria del Lipsia, mentre è solo lo sponsor del Salisburgo.
Eppure i problemi non si limitano a queste vicende. La politica imperialista, quasi da colonialismo di Red Bull, non è simpatica ai tifosi. Invidia? Forse, sta di fatto che le tifoserie avversarie non vedono di buon occhio questa nuova potenza calcistica, qualunque sia la nazione in cui essa militi.
Si pensi che Timo Werner, attaccante del Lipsia, viene puntualmente fischiato anche con la maglia della nazionale tedesca perché per approdare nella squadra di Red Bull ha lasciato lo Stoccarda: novità per tradizione. E neanche in casa propria sono tutti amici, anzi. Quando l’azienda di energy drink stava per mettere piede in Germania, i tifosi del Markranstädt hanno riempito lo stadio di diserbante. A Salisburgo invece, alcuni tifosi hanno deciso di rifondare l’Austria Salzburg.
Insomma, non si guadagnano miliardi di dollari senza aver prima guadagnato milioni di nemici. Ma il modello Red Bull è una novità nel calcio, un modo di fare impresa assolutamente vincente, capace di creare dove non c’è e di ravvivare dove non c’è abbastanza. Una formula del successo incredibile, un’araba fenice le cui ceneri sono brevi e le cui fiamme sono ardenti.
Il Napoli affronterà questo sistema nei sedicesimi di Europa League. Sarà una sfida tra risorte, entrambe con l’ambizione di fare del futuro il punto più luminoso della propria storia. Sapremo a febbraio chi sarà più efficace per dare la giusta carica: un buon caffè o un energy drink?
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Luca Forte
Articolo modificato 11 Dic 2017 - 20:19