Venne da lontano, dalle terre d’America latina. Venne con tutti gli onori, con le raccomandazioni e le incensazioni di chi era convinto di aver scoperto un nuovo craque del calcio mondiale. Venne per circa 6,5 milioni di euro. Era il gennaio del 2009, l’anno di una crisi che relegò il Napoli al tredicesimo posto in classifica. A gennaio De Laurentiis aveva pescato lui, Jesus Datolo, dal Boca Juniors.
Al suo arrivo al San Paolo, si presentò con un giro di campo degno del Grande Argentino, Diego. Ma Jesus non era Diego. E non era nemmeno Marek o Ezequiel. No, era un modesto calciatore venuto dall’Argentina. E lo mostrò nelle sue venticinque partite in maglia azzurra, tra il gennaio del 2009 e quello del 2010. Anzi, errata corrige: lo dimostrò in 24 partite.
C’era un’eccezione. Un’unica folle, impensabile e straordinaria eccezione. L’unica partita in cui Datolò si poté fregiare dell’appellativo di craque. La cambiò lui, quella partita. Forse era Lavezzi, o forse era proprio Diego, travestitosi da Jesus per la notte di Halloween. Quel 31 ottobre 2009 un po’ di cose cambiarono.
Juventus e Napoli s’erano date battaglia, il Napoli aveva anche sfiorato il goal. Ma la Juve ne aveva segnati due. Gli azzurri zero. Poi ci pensò lui, Datolo: fornì un assist al bacio per Hamsik, segnò il pareggio in mischia, partecipò, anche in maniera fortuita, all’azione del terzo goal. Tre acuti che restano nella leggenda: tuttora, quel 2-3 resta l’ultimo successo azzurro a Torino, prima del cambio di residenza della Juve.
No, Jesus Datolo non era un gran calciatore. Non era forse adatto alla Serie A. Salutò nell’anonimato, ancora oggi resta nell’anonimato. Jesus Datolo nacque esclusivamente per quel Juve-Napoli. Era il suo destino, la sua missione. E a chi importa se le cose, in seguito, andarono male? La missione fu portata a termine, il destino si compì, Datolo si prese la scena. Prima di andarsene dall’uscita secondaria.
Articolo modificato 19 Apr 2018 - 15:37