Succede che a volte si crede così tanto a un sogno, da farlo sembrare vero. Succede che se nel cuore nella notte ci si sveglia, si ha l’impressione di vederlo lì davanti ai propri occhi sbarrati e increduli. Succede che questi stessi sogni si spengono non appena si smette di crederli possibili.
Forse ci vorrebbe Sigmund Freud, padre della psicanalisi, forse ci vorrebbe una consulenza della sua “Interpretazione dei sogni” per dare una dimensione psicanalitica al comportamento masochista del Napoli, alla mancanza di capacità di eccellere lasciando fuori il mondo esterno, le imprese altrui.
Il “boulevard of broken dreams” (viale dei sogni infranti) del Napoli è una lunga strada che porta da Roma a Milano e si allunga fino a Firenze. Un viale fatto di frustrazione, complessi di inferiorità, mancanza di autocontrollo e disfattismo. È un viale che il Napoli ha scelto di percorrere perché forse più comodo, forse più adatto a chi vorrebbe stare in alto ma probabilmente soffre di vertigini.
A Roma si consumava uno degli episodi più emblematici del cammino azzurro in quello che passerà agli annali come il campionato del “potrei ma non voglio”: la Juventus gioca male contro la Lazio, è sullo 0-0 al 93, a Napoli si esulta già. Colpo di scena. Dybala fa gol, da terra, sotto l’incrocio, all’ultimo secondo e i bianconeri vincono.
Napoli si spegne, il Napoli anche. Come se ci si ritrovasse a lottare improvvisamente contro una realtà più forte dei propri sogni, contro la cabala, il destino, forze superiori e circostanze che la semplice passione non è capace di abbattere. Il risultato è una squadra distrutta, come se il gol Dybala lo avesse segnato al Napoli e non alla Lazio, come se ci si fosse arresi ancor prima di scendere in campo contro un’altra romana, la Roma. Risultato? Un sonoro 4-2 subito dagli azzurri.
Da un argentino a un altro, da Paulo a Gonzalo, da Roma a Milano, sempre un gol allo scadere. Sul 3-2 della Juventus ai danni dell’Inter si è nuovamente disintegrato il sogno nel cuore di cui i tifosi azzurri hanno parlato per un’intera stagione, dopo che questo era rinato solamente una settimana prima grazie alla testa di Koulibaly.
Ecco, la testa, croce e delizia del Napoli. Perché è proprio con la testa che si vince un campionato, non soltanto con i piedi, la classe e le giocate. Purtroppo il Napoli e in particolare questo Napoli, ha dimostrato di non avere la mentalità adatta alla vittoria finale, di non essere in grado di reggere psicologicamente la pressione di una vittoria allo scadere della rivale di sempre, oggi quasi nemica, la Juve.
Il crollo sotto i colpi della Fiorentina, i 3 gol della Juve sommati ai 3 di Simeone, sono i 6 chiodi che chiudono la bara del sogno scudetto azzurro. Chiodi infissi con un martello che il Napoli stesso ha preso in mano, arrendevole e non convinto delle proprie forze.
Non si è qui per essere catastrofici, ma il vero limite sta nella testa e non altrove e finché il Napoli non uscirà da questa spirale di autolesionismo, non potrà mai primeggiare né in campionato né altrove. Perché nel calcio come nella vita, chi ci crede può vincere, chi si arrende ha già perso.