Tutti a rapporto, come una chiamata alle armi. Anche se conta poco, se ormai le speranze sono ridotte al lumicino, se i veleni del fine settimana hanno allontanato diversi tifosi dal mondo del calcio. Tutti a rapporto, tutti allo stadio. Napoli-Torino, domenica, non si giocherà nella solitudine. A chi importano i risultati, in fondo? C’è da riempire uno stadio, c’è da tributare un applauso.
E c’è da sperare. C’è chi ci crede, certo, chi ancora non si capacita che la lotta sia chiusa e spera in un miracolo del Bologna. E magari s’affida a Verdi, che un po’ di azzurro, forse, ce l’ha stampato addosso. Qualcun altro è lì per applaudire e ringraziare, perché anche se il finale risulta deludente le emozioni provate durante la corsa non si cancellano così facilmente.
È questione di emozioni, questione di cuore. La ragione suggerisce di arrendersi, il cuore no. Il cuore sente l’obbligo di andare allo stadio, applaudire, tifare, esultare o dispiacersi e poi applaudire di nuovo. E al termine dei novanta minuti, forse, sperare.
Napoli-Torino non sarà il canto del cigno degli azzurri, né il sepolcro dei sogni di gloria. Sarà la prima tappa di una standing ovation che durerà tre gare, indipendentemente da quale sarà il finale. I tifosi l’hanno deciso razziando i biglietti in poche ore: sarà tutto esaurito? Chissà.
Ma i tifosi ci sono. Il sogno resta lì, nel cuore. Per ora accantonato.
Quel “sarò con te”, invece, non passa mai.
Articolo modificato 1 Mag 2018 - 23:11