Gli applausi finali servono solo come contorno a qualcosa che sapevamo già: Napoli è innamorata del Napoli. Sono applausi che celano lacrime. I pianti di chi s’è arreso, ha mollato la presa sul più bello. Dopo aver lottato strenuamente, colpito, incassato, dopo esser crollato e aver trovato le forze per rialzarsi, il Napoli è finito al tappeto.
È dura da digerire. Fa male. E razionalizzare le emozioni, in casi così, è difficile. Seguiranno parole d’odio, di tensione, di delusione. Sono lecite, il Napoli non è più il Napoli. Negli occhi del capitano s’era scorta una reazione d’orgoglio, un moto dinamico esploso in un nanosecondo. Era l’arrembaggio finale. Non è da Napoli vanificarla così.
Il Napoli s’è fermato a Torino: sono seguite due settimane di oblio, di polemiche, di crisi.
E la lotta scudetto, ora, c’entra marginalmente. C’era da vincere per altri, tanti altri motivi. Lo scudetto la Juve l’aveva vinto ieri, il Napoli l’aveva perso già a Firenze. Se l’era visto sfuggire di mano: il resto è una logica conseguenza, che forse neppure fa testo.
Epperò la tristezza è innegabile, si nota anche nel battimani finale. Gli occhi rossi come le mani che applaudono, la voce rotta dall’emozione e dal canto: il San Paolo se l’è voluta concedere lo stesso, la festa. Una passerella austera e composta: non era certo il finale che tutti s’erano attesi.
Il Napoli, al tappeto, s’è rialzato solo per un attimo, è andato a ringraziare, forse a chiedere scusa. Ancora dolorante, con i colpi ricevuti ancora stampati e il fiato sempre mozzato. Fa male guardare indietro, fa male guardare avanti, fa male il presente. L’unico conforto è l’abbraccio caloroso del San Paolo. Sono in lacrime i tifosi, ma non possono sfuggire alla loro essenza, al loro dovere naturale.
L’applauso, l’abbraccio, il conforto vengono da soli, in automatico. Napoli e il Napoli, il dolore, lo supereranno insieme.