Se ne parlerà molto ed è giusto, ma occorre che se ne parli nella maniera giusta. O se ne parlerà troppo poco, in una maniera che non potrà essere produttiva di un miglioramento. Eppure, un’assunzione di responsabilità e di coscienza su dove stia andando il modo di vivere il calcio è d’obbligo.
Partiamo dal calcio: innanzitutto, uno sport, o almeno questo è quello che dovrebbe essere di fondo. Ma il calcio, si dirà, non è solo uno sport: è un’espressione di valori come il lavoro, il sacrificio, il gruppo. Questo, però, rientra solo nel campo della teoria, perchè il calcio si arricchisce (ma spesso impoverisce) di tutto il contesto: la maniera di raccontarlo, il modo di viverlo dei tifosi, gli atteggiamenti più o meno condivisibili dei calciatori o comunque degli addetti ai lavori.
Mettendo da parte, per un attimo, l’essere business, cosa da cui il calcio non può più dissociarsi, sarebbe bene soffermarsi sull’atteggiamento di ostilità tra le tifoserie che cresce. La rivalità è sacrosanta e va preservata e mantenuta, ma ci sarebbero determinati dettami di buon costume e di rispetto da seguire, poichè si parla pur sempre di uno sport, con tutti i legami affettivi che può generare.
E non è solo la bara di cartone che Douglas Costa ha immortalato sui social e proposta da alcuni tifosi che hanno così omaggiato Insigne, Sarri e anche il giornalista Raffaele Auriemma, “colpevole” di aver espresso opinioni contrarie alla Juventus. E, sia chiaro, un atteggiamento rivedibile non è imputabile solo alla tifoseria juventina, poichè è un’abitudine generale quella di travalicare i confini.
Quello che più fa riflettere è il fatto che parte della tifoseria juventina (e parte anche della squadra, cosa che accende ancora di più la riflessione) abbia indirizzato i propri festeggiamenti non nella direzione dell’esaltazione di quanto fatto e della propria soddisfazione personale, quanto piuttosto verso l’avversario, con toni spesso oltre le righe.
Ma, come detto, ciò non riguarda solo la tifoseria bianconera, anzi sono poche le tifoserie che si possono esonerare da questo discorso. Insulti a sfondo territoriale, luoghi comuni vomitati addosso ad altre tifoserie per il mero gusto di fare polemica, poichè la leale e sana rivalità ormai è un ricordo lontano, se mai sia esistita.
Il punto focale è che è un cane che si morde la coda, poichè ci si sente sempre in diritto e quasi in dovere di contrattaccare per sfottò (o comunque atteggiamenti offensivi) subiti in passato e che accendono e alimentano un fuoco che, purtroppo, sarà sempre più difficile placare.
Un nauseabondo botta e risposta che non fa bene al calcio, ma soprattutto alla buona convivenza, che non può risentire di differenze di credo calcistico.
MARCO BREGLIO