Si sono ritrovati ancora lì, per l’ultima volta in stagione, a popolare quei sediolini rossi e sbiaditi del San Paolo. A conti fatti, a campionato chiuso, il San Paolo ha risposto con una presenza. Era una presenza dovuta, ma non scontata. Era un modo per tributare alla squadra una standing ovation. Si è sognato, durante l’anno. Il sogno nel cuore s’è infranto a Firenze, eppure resta lì. Incompiuto, inespresso, ma lì. Da coltivare per un altro anno.
Intanto, c’era da tributare alla squadra un lungo applauso.
Un lungo applauso ad Arek Milik, che ha sconfitto in grande stile i demoni che l’hanno accompagnato per tutta la stagione. E l’ha fatto con veemenza, con una testata o una bordata dalla distanza. L’ha fatto da centravanti vecchio stampo, l’ha fatto abbattendo le porte come le difficoltà.
Un lungo applauso a Marek Hamsik, nell’anno dei record. Un po’ in sordina, con meno brillantezza del solito. Un’ora e via: poi, dentro Zielinski. Un must di una stagione tra alti e bassi. Lui in silenzio, a lavorare. E a raggiungere vette più alte. Nei numeri, nella storia del Napoli, nei cuori dei tifosi.
Un lungo applauso a Kalidou Koulibaly e ad un goal (quasi) nella leggenda. Al goal dell’illusione, al goal delle lacrime prima di gioia e poi di amarezza. Eppure piccola pagina di storia, da guardare con affetto in un virtuale album di ricordi. “Quello è stato il giorno in cui ci ho creduto davvero”.
Un lungo applauso a Christian Maggio, che saluta (forse) come solo lui sa fare. Senza scomporsi, senza esagerare. Da uomo e professionista pacato e mite, quello che abbiamo imparato a conoscere in 10 lunghi anni. Dieci anni. Un enormità, un simbolo impossibile da scalfire. E che forse meritava un ultima standing ovation anche in campo.
Un lungo applauso allo strapotere fisico di Allan, anche per consolarlo della mancata convocazione per il Mondiale. Colpevoli loro: non sanno cosa si perdono. Un lungo applauso alla napoletanità di Insigne e Ciro Dries Mertens, all’esperienza di Albiol, alla passionalità di Reina. Al Napoli che verrà: quello di Zielinski, di Rog, di Diawara e forse di Ounas. E applausi per gli altri, i comprimari: l’indissolubile Callejon, lo sfortunato Ghoulam. Hysaj, Mario Rui, Jorginho e gli altri.
Un lungo applauso a Maurizio Sarri, l’artefice di questa creatura. Ha dispensato calcio puro per tre anni, pur senza la ricompensa dei risultati tangibili. Qualcuno glielo rimprovera, altri guardano oltre. Ama Napoli e i napoletani, odia i razzisti: in un modo o in un altro, s’è ritagliato un posto insindacabile nella storia azzurra e nel cuore dei tifosi. Di quelli che pregano e sperano in una sua permanenza, di quelli che invece lo vorrebbero altrove.
Articolo modificato 20 Mag 2018 - 21:47