Nella mitologia è un elemento comune, questa “metamorfosi”. È la trasformazione di una persona o di un oggetto in un altro/a di natura differente. È un cambiamento sì, di quelli più radicali e spaventosi. Un salto nel buio che poi può portare a un destino crudele oppure ad una rinascita completa.
La metamorfosi calcistica, però, è qualcos’altro. Esistono dei momenti, nel gioco del calcio, in cui un interprete della professione scruta altri orizzonti. Quello che ha sempre fatto, ora, inizia a stargli stretto: vuole cambiare, esplorare, intraprendere un nuovo percorso. Forse perché si sente un calciatore diverso, forse perché vuole tentare un ultimo salto per cercare l’Olimpo.
La metamorfosi di Lorenzo Insigne è iniziata già sulle alture di Dimaro. Carlo Ancelotti ne è stato l’artefice. Era impensabile andare a scalfire la bolla incantata in cui si trovava Lorenzo. Lì, coccolato nel 4-3-3 e nella ripetitività dei codici del suo modo di giocare, aveva mostrato doti sublimi.
Segno che – invece – qualcosa andava fatto. Perché accontentarsi, quando si può guardare lontano, pensare ancora più in grande? Ad Insigne mancava un’ultima rampa di scale per entrare nell’Olimpo dei più grandi. Come si può modificare l’atteggiamento in campo di un calciatore da numeri d’alta scuola e da invidiabili medie realizzative? Il metodo Ancelotti ha saputo cavarne il meglio.
È bastato avvicinarlo alla porta, in un tandem d’attacco, liberarne l’estro e esentarlo dalle logiche forzate del gioco a due tocchi. Un Insigne a tutto campo, che sa incantare da 10 e segnare da nove, rifinire da regista e allargarsi da ala. Una punta completa, totale, piacevole allo sguardo con il pallone tra i piedi e letale quando c’è da trafiggere i portieri.
Lo score, d’altronde, è una sentenza: 4 goal nelle prime 5 di campionato, tre delle quali coincidono con il nuovo ruolo disegnato su misura per lui. Le ultime reti, contro il Torino, sono da rapace d’area, pronto a cogliere rimpalli e opportunità e scaraventare in rete. Con la Fiorentina ha segnato da centravanti consumato, contro la Lazio con un pregevole destro nell’angolo, da dieci. Fa centro in (quasi) ogni modo, Lorenzo. Con uno score di 38 goal negli ultimi tre campionati, sarebbe stato delittuoso non sfruttarne maggiormente il potenziale. Ancelotti ne ha cavato – soprattutto – un “do ut des”: Lorenzo aiuta il Napoli in campo, il Napoli ricambia fornendogli l’ambiente ideale – e le condizioni tattiche ideali – per compiere l’ultimo step verso l’Olimpo.
Guai però a pensare che dietro una metamorfosi perfettamente riuscita ci sia soltanto la mano di Ancelotti. C’è un percorso iniziato nel 2012 che ha coinvolto il lavoro di quattro allenatori. Carlo, che è un ottimo gestore di risorse tecniche e umane, ha posto la ciliegina sulla torta. C’è ancor più significativamente il lavoro e la predisposizione al sacrificio di un calciatore mai refrattario all’idea di uscire dalla sua bolla. Sarri l’aveva proposto trequartista, in un Napoli ancora in piena rifondazione. Era troppo presto, forse, per trasformarlo. Oggi i tempi sono più maturi. Oggi, manca soltanto uno step per far parte dei migliori. Una sola rampa di scala da percorrere in una corsa a perdifiato.
Vittorio Perrone
Articolo modificato 24 Set 2018 - 10:23