Inter-Napoli, stadio San Siro. L’arbitro fischia, la partita inizia e con lei anche i cori razzisti. Stavolta il bersaglio preferito è stato uno dei difensori più forti del mondo. Il suo nome è Kalidou Koulibaly, di sangue senegalese e francese, di animo napoletano. Che calciatore, Kalidou! Forza, intelligenza, velocità, e cuore, soprattutto cuore.
Quel cuore che ieri sera, sugli spalti di San Siro, mancava. Quel cuore che i tifosi hanno messo da parte per lasciare spazio al solito e becero razzismo. Brutta pagina di calcio. E Kalidou, che con l’umiltà e la forza che da sempre lo contraddistinguono, per 80′ ha continuato a giocare la sua partita, a difendere la sua squadra. Poi è arrivata la reazione. Non ce l’ha più fatta a subire, e, dopo una doppia ammonizione, è stato costretto a lasciare il campo.
Cosa c’è di sbagliato in questo calcio? Forse il fatto che il razzismo sia ancora trattato come una piaga di non troppa rilevanza. Forse il fatto che non si riesca a comprendere che non si tratta di semplice tifo, ma di uno squallido strumento che genera violenza, che umilia, che indebolisce. E se spesso si parla di provvedimenti, la realtà è che l’idea che una partita venga sospesa per tali motivi, a volte sembra ancora un’utopia.
È strano che, a pochi giorni dal 2019, dopo anni e anni di progresso, si debba assistere ancora a certi episodi. Eppure è così. E il razzismo non può e non deve essere lasciato in sordina, non può e non deve restare impunito. E, se ci sono persone che ancora pensano sia lecito, o addirittura normale, che un uomo sia deriso e umiliato per il colore della sua pelle, per la sua provenienza geografica o per il suo credo religioso, è giusto che quelle persone vengano punite. È giusto dare un segnale forte. E soprattutto, è giusto che lo sport torni al suo vero scopo: divertire, appassionare, unire le persone, non creare odio sociale e divisione. Che il calcio torni alla sua magia, che il tifo sia passione vera e pura, e anche sfottò divertente e sana rivalità, ma mai, mai e poi mai, disprezzo e intolleranza.
Però l’amore salva, l’amore salva sempre. E stavolta si manifesta attraverso un post che proprio il difensore senegalese ha pubblicato su Instagram dopo il match. Si dispiace innanzitutto di aver abbandonato i suoi “fratelli” in campo e di averli lasciati senza il suo supporto, e poi conclude con una frase che mette a tacere tutti: “Sono orgoglioso del colore della mia pelle. Di essere francese, senegalese, napoletano: Uomo”. È un uomo, Kalidou. E ha dato a tutti una grande lezione.
L’amore salvava anche nel febbraio 2016. “Siamo tutti Koulibaly”. Lo diceva il popolo napoletano. Lo diceva indossando maschere raffiguranti il volto di Kalidou, sugli spalti, in occasione di Napoli-Carpi. Le indossava perché il suo beniamino era stato oggetto di cori razzisti da parte della tifoseria laziale. Il suo popolo si sentiva offeso con lui, e lo proteggeva difendendolo dalla cattiveria. E forse servirebbe proprio questo, ancora una volta. Un gesto forte. Una reazione. Qualcosa che dica che il popolo napoletano non ci sta. Non ci sta perché difende il suo essere sensibile, la sua apertura culturale, la sua solidarietà senza confini. Non ci sta perché fortunatamente, al mondo, esiste ancora qualcuno che, alle vittorie, preferisce la civiltà.
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Alessandra Santoro