“Città sorprendente e bellissima. La viviamo totalmente, dal nostro terrazzo godiamo di una vista pazzesca” – ha detto Carlo Ancelotti ai microfoni del Corriere dello Sport. Ecco quanto detto dal tecnico emiliano nella lunga intervista al quotidiano sportivo:
L’arrivo a Napoli l’hai tenuto nascosto fino all’ultimo addirittura a Sacchi e a chi ti aveva portato al Bayern, Branchini. Temevi che avrebbero tentato di dissuaderti?
“Il motivo è uno solo: De Laurentiis era in piena trattativa con Sarri, non avevo alcuna intenzione di finirci in mezzo. Mi era stata chiesta la disponibilità nel caso in cui non avessero trovato l’accordo, l’avevo data. In quel periodo si erano fatti avanti ufficialmente solo il Napoli e la Nazionale. In Premier non c’era spazio e io volevo tornare ad allenare tutti i giorni. Napoli la soluzione perfetta. I contatti per me li ha tenuti un avvocato di Parma, Ziccardi. De Laurentiis l’ho incontrato per la prima volta il giorno che mi hai beccato nell’hotel di Roma quando stavo andando a firmare”.
Ho letto che in passato vi eravate sentiti spesso.
“No, non spesso. E comunque per altre ragioni. Da Parigi l’avevo chiamato per parlare di Lavezzi e in seguito di Cavani”.
Sacchi ci rimase male quando seppe che avevi fatto tutto senza prima consultarti con lui?
“Non penso, e comunque Arrigo mi telefona spesso, analisi della partita, suggerimenti, mi dà dei consigli. Io lo ascolto. Ascolto tutti. Anzi, no, ti dirò una cosa che non ho mai rivelato a nessuno: a volte faccio finta di ascoltare, in realtà sono nel mio mondo, dentro la mia cupola di vetro, immerso nei miei pensieri. Riletto parecchio perché sono un tipo razionale, l’istinto non prevale mai nelle mie decisioni, nella mia vita ha un peso ininluente. L’ignoranza non mi scatta mai. Il calcio mi ha insegnato a essere addirittura più paziente di quello che di natura sarei. La pazienza è una dote essenziale per chi fa il mio lavoro. Oltre all’equilibrio: non mi esalto quando vinco e non mi abbatto quando perdo”.
Dei dogmi di Arrigo quando ti sei liberato?
«Di lui mai, di un certo tipo di calcio, sì, perché ho capito che non esiste un solo sistema, una sola verità, e si può vincere in tanti modi. Vuoi sapere quando è successo e grazie a chi?”.
Certamente.
“Zidane, alla Juve. Ricorderai che a Parma non feci prendere Baggio che aveva già l’accordo con Tanzi, Baggio che è uno dei più grandi talenti del calcio italiano, perché avevo Chiesa e Crespo e insomma puntavo a un calcio che ingabbiava i giocatori e non prevedeva il trequartista, ruolo che Roberto aveva richiesto. Se fosse arrivato dopo la svolta di Zidane l’avrei tenuto eccome. Con Zidane ho fatto il processo inverso: ho ingabbiato la squadra intorno al campione, gli ho cucito addosso il vestito».
Con De Laurentiis vi sentite spesso?
“Due volte a settimana, di solito. Si informa, è giusto che lo faccia. Vuole sapere, domanda”.
Non suggerisce la formazione.
“Gli ho detto che se un giorno mi fa la formazione io gli organizzo il cast per un film. Prendo De Niro, Ryan Gosling, Di Caprio, Bradley Cooper, Chris Payne e la nostra amica Zoe Saldana”.
E così lo mandi in rovina e non ti compra più Barella, Lobotka, Lozano.
“Allan se ne va?” Sorride.
Se non lo sai tu.
“Lobotka lo trattano l’estate scorsa quando rischiavamo di perdere Fabian Ruiz per via della clausola. Barella è forte, Lozano mi piace da morire. Ma adesso mi tengo la mia squadra, che è un’ottima squadra”.
Il girone di ritorno comincia in salita, con la Lazio e le vostre assenze.
“La Lazio e le due partite col Milan. Abbiamo il dovere di tener botta per mantenere vivo il campionato. La squadra non ha ancora dato il 100 per cento. Fabian non l’ha dato, e come lui Milik, Zielinski”.
E Insigne?
“Lorenzo anche più del 100 ma solo fino a novembre, poi è calato”.
Dopo il girone di andata il tuo Napoli ha quattro punti in meno di quello di Sarri e come nella scorsa stagione è fuori dalla Champions.
“C’è un velo di cattiveria in quel “fuori dalla Champions”. Nel nostro girone c’erano due potenziali vincitrici, Psg e Liverpool, noi siamo stati in corsa fino all’ultimo. In campionato ci proveremo fino in fondo ma se vincerà la Juve non sarà una grande novità. O sbaglio? Qui a Napoli De Laurentiis ha fatto un grande lavoro. Cristiano, il nostro Cristiano (Giuntoli, ndr) ha fatto i miracoli”.
Quest’anno siete usciti dalla Champions per una partita sbagliata, l’ultima.
“Sbagliata per te! L’anno scorso in semifinale il Liverpool ne ha fatti cinque alla Roma”.
In seguito, però, ne prese quattro all’Olimpico.
“Anfield è uno stadio complicato. Ti ricordo anche che Klopp ne diede tre al City di Guardiola. Tutto quello che potevamo fare l’abbiamo fatto, ho detto questo ai ragazzi a fine partita, e non dimenticare che nel finale siamo andati vicinissimi all’1-1. Ci ha fregato quel gol di Di Maria a Parigi dove avremmo meritato di vincere”
“Se usciamo siamo dei coglioni” sono parole tue.
“Errore. È un falso storico. Quella battuta la feci alla vigilia del ritorno con la Stella Rossa. Dissi esattamente: “Se non passiamo per questa partita siamo dei coglioni”.
A Napoli abbiamo conosciuto un Ancelotti diverso da quello di Madrid: turnazioni massicce, cambiamenti di ruolo. Al Real la formazione la modificavi raramente.
“La spiegazione è semplice: qui ho un gruppo di giocatori più livellato, e poi non cambio per il gusto di cambiare ma per far sentire tutti parte del progetto. Alla lunga paga. Al Real allenavo giocatori come Ronaldo, Benzema, Bale, Sergio Ramos, Alonso, Di Maria, troppa differenza tra loro e le seconde linee potenziali. Certo, avevo anche il giovane Morata. Che è un ottimo attaccante. So che torna all’Atletico”.
Sei un programmatore di cambi in corsa?
“Scusa, qual è l’allenatore che programma i cambi durante la partita? Fammelo conoscere”.
Allegri, dicono.
“Sciocchezze, ogni partita ha una storia diversa, al massimo si possono pianificare le variazioni in caso di impegni ravvicinati”.
Il progetto di allenare un giorno la Roma l’hai accantonato definitivamente?
“Dopo Napoli smetto”.
Dici sul serio?
“No” – ride. “Allenerò fino a quando capirò di non divertirmi più. La mattina in cui mi sveglio e devo andare al campo triste. Allora fine, chiuso”.