Sette metri di larghezza e quasi due e mezzo di lunghezza: a vedere le misura di una porta nel gioco del calcio, davvero non ci si spiega come sia possibile fallire dei goal da distanza ravvicinata. E forse se lo staranno chiedendo anche Mertens, Milik, Callejon.
Ma il calcio non è solo numeri e dimensioni: il pathos d’una partita rende il semplice un’impresa ardua e le imprese più ardue, talvolta, semplici. Sotto porta il Napoli s’è smarrito, ieri a Firenze. Contando le palle goal (servono sette dita), è un grosso rimpianto. A dir poco: un eufemismo, per essere buoni. Che il Napoli non abbia portato a casa una partita in cui ha collezionato occasioni a valanga, è un grosso apostrofo rosa tra le parole “come” e “è possibile?”. E invece è andata così: il Napoli s’è prosciugato.
Colpa di un killer instinct che un attaccante di razza (e che in generale una squadra d’alto profilo) dovrebbe avere e che invece gli avanti azzurri non hanno accumulato nel bagaglio tecnico. Debole e forse svogliato, Dries Mertens manca due volte (la prima in offside) l’appuntamento con una rete solo da insaccare. E lo stesso fanno Insigne e Milik, che forse però soffrono del difetto opposto: eccesso di foga, forse. Fatto sta che la freddezza a due passi dalla porta non è una caratteristica in cui i ragazzi di Ancelotti brillano.
Ma si può parlare anche di sfortuna? Sì, forse sì. D’altronde episodi e dea bendata decidono buona parte delle partite di calcio. “L’episodio bisogna crearselo”, certo. E il Napoli l’ha fatto, non canalizzandolo in rete soltanto per sciatteria, un Lafont in grande spolvero e… un po’ di sfortuna. Il paragone con alcune partite che il Napoli ha portato a casa pur creando molto meno rispetto al Franchi è emblematico di questo aspetto. Tipo Cagliari, tipo la gara con la Spal.
Lafont, debolezza, sciatteria e un pizzico di sfortuna. O di assenza di fortuna. Insomma, la dea bendata che volta le spalle al Napoli: un abbandono che gli azzurri pagano a caro prezzo. Gli ingredienti ci sono tutti e il mix produce un risultato un po’ insipido: 0-0.
Vittorio Perrone