La figlia di Carlo Ancelotti, Katia, ha rilasciato una lunga intervista all’edizione odierna de Il Corriere del Mezzogiorno.
Katia Ancelotti ha raccontato tanti dettagli della sua vita privata, del suo papà Carlo, allenatore del Napoli, all’edizione odierna de Il Corriere del Mezzogiorno.
Le sue parole:
“A noi tutti piace tanto Napoli: è prima di tutto una città accogliente. Non ti senti mai fuori posto, c’è sempre qualcuno pronto a darti un segnale. Chi ti dà questo o quel suggerimento, in maniera più o meno discreta. Viviamo la zona dove abitiamo, ma ho capito che qui tutti non si spostano dai quartieri dove vivono. E in un certo senso mi dà l’ idea di stare in un grande paese più che in una metropoli.
Da piccola ho dovuto “sopportare” il peso di un cognome altisonante. Ma sinceramente me ne sono sempre fregata. Qualsiasi cosa facessi, sentivo: vabbe’ è stata promossa per il padre, va ad Amici grazie al papà, lavora perché si chiama così. Gli occhi della gente sempre lì a giudicare me o mio fratello. Abbiamo avuto la forza di ignorare e dimostrare che il privilegio non esiste se non dimostri di valere
A me piace il calcio, lo vivo come passione da sempre. Però un piccolo segreto ce l’ ho: sia con papà che con mio marito (Mino Fulco è nello staff di Ancelotti, ndr ) evito di dire la mia su questo o quel calciatore, se ha giocato bene o male. Faccio domande indirette, così hanno l’ impressione che voglio imparare. Ma in genere il mio pensiero coincide con il loro.
Papà è una persona autorevole, non autoritaria e così ha guadagnato il rispetto di noi figli e dei calciatori che ha allenato. Qualche volta però mi piacerebbe fosse un po’ meno “brava persona”. Ecco, un po’ meno contenuto. Ma non fa parte del suo modo di essere.
Una volta, eravamo a Parma e avevo fatto filone a scuola. Gli insegnanti avevano chiamato a casa ed ero stata scoperta. Tornai al solito orario e lui era in cucina a preparare una bistec ca. Mi bastò lo sguardo per capire che sapeva. E una domanda: da dove vieni? Volevo morire, quello che mi disse non lo racconto.
Mio marito è napoletano, quando mi sono sposata a Napoli, all’epoca, nessuno immaginava che saremmo poi venuti a vivere a Napoli. Papà era felice anche quando gli ho presentato la prima volta Mino. Scherzò sul nome (si chiama Beniamino) ma fa parte del personaggio. Lui sa essere molto divertente, e del resto gli piace stare qui perché nessuno si prende troppo sul serio.
Ancelotti al Napoli? Stupore assoluto, c’erano altre cose in ballo e io non credevo alle mie orecchie. Chiamai la mia amica Barbara che abita a Napoli e mi aiutò molto per il trasferimento.
Papà aveva bisogno di stimoli nuovi. E Napoli, già una grande piazza, aveva le caratteristiche. Qui la gente aspetta di vincere da tempo, la sfida di mio padre è questa. C’ è pressione, certo ma il buon Carlo sa gestirla bene. Tifo per il Napoli di Ancelotti. Non ho mai avuto una squadra del cuore, tengo al Milan perché sono cresciuta con loro e Gattuso è un amico speciale. Però avere un marito tifoso del Napoli mi ricorda che anche quando eravamo a Madrid o a Monaco, il primo risultato italiano di cui ci informavamo era appunto quello degli azzurri.
Se cerchi mio padre e non lo trovi, puoi scommettere che ha scoperto un nuovo ristorante e lo sta sperimentando. Direi che ne sappiamo di più dei napoletani. Penso io a preparargli zuppe e minestre per aiutarlo a smaltire le calorie. Fa tanto sport: palestra, bici e corsa. Ha imparato a gestire e non ha più timore della bilancia”.
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