Parole al miele quelle di Alex Meret al suo primo anno con la maglia del Napoli. Sogna di restarci per tanti tempo, così si racconta oggi su Il Mattino:
Meret, se lo ricorda quel bambino (lo stesso Meret, ndr)? Cosa sta facendo?
«Sta pensando al pallone ed è con il suo compagno di banco Christian a immaginarsi su un campo di calcio vero. Una passione irrefrenabile. Poi il suo amico si iscrive nella scuola dei pulcini del Rivolto e lui riesce a convincere i suoi genitori a poterlo seguire. Ci resta due anni poi passa al Donatello e a dieci anni approda all’ Udinese».
Sempre portiere o è andato in porta perché era il meno bravo?
«Sono stato sempre e subito portiere. Fin dal primo allenamento. Peraltro i guanti erano quelli di Buffon come il poster in camera: era il mio idolo, come per tanti della mia generazione. Buffon ha fatto la storia del calcio italiano e io volevo fare il portiere. Con la testa sempre al pallone».
Chissà che contenti, mamma e papà.
«Sono stati fantastici perché non mi hanno mai forzato, mi hanno accompagnato ogni giorno dalla scuola al campo di allenamento e viceversa. Non si sono mai persi una mia partita. Però non hanno mai smesso di dirmi che dovevo studiare. E avevano ragione: mi sono diplomato al liceo Scientifico e ora sono iscritto all’Università San Raffaele di Roma, al corso di laurea di scienze motorie. Al primo esame ho preso 28. Lunedì ne ho un altro, in psicologia».
Può servire per avvicinarsi alla sfida con l’Arsenal la psicologia?
«Sappiamo che sarà una gara difficile, ma noi ci arriveremo al meglio, nonostante lo scivolone di Empoli: conosciamo il loro valore, ma anche il nostro. Sappiamo anche che per migliorarci non dovremo più avere cali di rendimento, ne siamo consapevoli. A Londra ci aspetta una partita difficile ma siamo carichi e ci arriveremo al meglio. Senza dimenticare che domani con il Genoa vogliamo conquistare quei tre punti che ci servono per consolidare il nostro secondo posto».
Per accorciare il gap dalla Juventus cosa ci vuole?
«È evidente, ci serve concentrazione in ogni partita, non bisogna mai sbagliare atteggiamento: per arrivare primi in classifica ci vuole l’approccio giusto sempre, contro ogni avversario. D’altronde, la Juventus lo insegna: sono anni che non perde un colpo. La mentalità è una cosa che hanno dentro. Si vede, si capisce».
Vi fa rabbia stare 18 punti dietro ai bianconeri?
«La Juve sta facendo un campionato incredibile, ha perso pochi punti, al contrario di noi. In generale noi siamo contenti per quello che abbiamo fatto, è un bel secondo posto anche vedendo le difficoltà di chi ci sta dietro, poi se la Juve arriva così tanto più avanti bisogna riconoscere i loro meriti».
Tra pochi giorni ci sarà Cech a 100 metri da lei…
«Ecco, un altro che mi incantavo a vedere alla tv e con cui mi ritroverò a giocare contro. I sogni si avverano e io aspetto quella sfida soprattutto perché noi vogliamo andare avanti in Europa fino alla fine».
I portieri che ammira di più?
«Uno è sicuramente Handanovic, che ho avuto la fortuna di conoscere a Udine e di cui ho sempre ammirato il modo con cui attacca la palla, ma tra i miei preferiti di adesso c’è Oblak dell’Atletico Madrid».
A Ospina e Karnezis cosa vorrebbe rubare?
«Ospina colpisce per la reattività tra i pali. Karnezis è completo come pochi, soprattutto nella tecnica: a lui davvero ruberei ogni cosa».
Per quanti anni si vede tra i pali del Napoli?
«Mi trovo talmente bene qui che vorrei dire per sempre. Diciamo che per un bel po’ di anni spero di restare qui, un posto unico al mondo, in un club tra più importanti d’Europa».
Ancelotti ha detto: «La cosa importante in un portiere è che abbia due mani che possano parare». È in questa semplicità la grandezza del ruolo?
«Sì, anche se tanti allenatori ormai chiedono di giocare con i piedi di continuo. In questo devo migliorare, ma ammiro il mister per queste parole, perché anche per me un portiere deve prima parare e poi fare il resto. Il senso del mio ruolo è quello di non far fare gol. Però, ovvio, se hai tutte e due le cose è meglio per tutti».
Ma quando vede le immagini degli anni 80 con i portieri che si piegano e con le mani raccolgono un retropassaggio?
«Li invidio. La loro vita era molto più semplice della mia. Ma devo anche ammettere che il gioco era assai più noioso e questa norma ha sicuramente contribuito a rendere più veloce e spettacolare la partita. Insomma, neppure io sarei tanto favorevole a un ritorno al passato».
I suoi infortuni: che rapporto ha con il dolore e le ansie?
«Negli ultimi due anni ho avuto infortuni che mi hanno tenuto lontano dal campo per un po’ di tempo. Ogni volta riparto da zero, me lo impongo. Perché non posso stare lì a pensare a quello che mi è successo, a come mi è successo. Non ci penso più. E basta. Perché quando sono in campo non devo farmi condizionare dal pensiero dell’infortunio, altrimenti sarei limitato. E non darei il massimo».
Un friulano ama Napoli perché…
«Per un friulano non è facile amare Napoli subito, perché da noi c’è più tranquillità mentre qui è tutto molto più caotico. Però ti basta poco per restare stregati dal clima bellissimo. E dopo il primo impatto non si può non apprezzare quello che offre questa città. E mettere da parte tanti luoghi comuni su Napoli».
I suoi maestri?
«A Udine sono cresciuto con i preparatori Diego del Piccolo, Sergio Marconne e Alex Brunner: mi hanno fatto migliorare nella tecnica che è la cosa più importante in un portiere. Hanno sempre creduto in me e fatto giocare nella squadre con compagni più grandi di me».
Un finale di stagione niente male l’attende: la corsa all’ Europa League e all’Europeo Under 21. Come ci arriva?
«Spero di arrivarci con la continuità di adesso, lavorando giorno per giorno: la sfida all’Arsenal è prestigiosa e importante. Poi c’è l’ Europeo con l’Italia che giochiamo in casa: io voglio arrivarci al meglio e fare il titolare».
Il calcio italiano, bruciato ancora dall’eliminazione a Russia 2018, fa bene a fidarsi della sua generazione?
«Per ripartire servono quelli come noi, i giovani. E per fortuna in tanti giocano titolari con continuità in serie A ed era, forse, quello che prima mancava. Ma anche la Nazionale si è ringiovanita, ha tanto entusiasmo e penso che con il ct Mancini questa sia la strada giusta».
Il Napoli ha un portiere italiano di 22 anni: anche questo è un gesto importante?
«La carta d’identità conta solo fino a un certo punto: uno deve andare in campo solo per quello che fa vedere, per i suoi meriti, non certo per l’età che ha».
C’è un altro portiere, Donnarumma, stabiese, che è il suo rivale da sempre. Un duello che vi perseguita da anni?
«Lo stimo tantissimo, è una sfida che ti spinge a dare sempre di più, ma non è una lotta tra me e lui. Però è bello…».
Le manca la vita al paese, nella provincia friulana?
«Era una vita tranquilla, come si vede nei film. I miei mi prendevano da scuola e mi portavano a giocare, la sera mi facevano studiare e così ogni giorno. Ma sono felicissimo adesso».
Quando ha detto: «Cavolo, Alex, ma allora sono forte»?
«Qualche volta mi capita, nel rivedere in tv qualche immagine, a sorprendermi per il gesto che faccio».
La sua parata più bella quest’anno?
«Quella nel finale con il Salisburgo all’andata al San Paolo: era un tiro rasoterra, alla mia destra».
Secondo lei la Premier o la Liga cosa hanno di più della serie A?
«Beh come spettatori e come spettacolo sì. Ma noi ci stiamo avvicinando, anche la nostra serie A sta recuperando fascino. Il nostro cammino in Europa League e quello della Juventus in Champions sono importanti in questo senso, e sono sicuro che questo favorirà l’arrivo di altri campioni la prossima estate».
Quale è la sua reazione ai buu razzisti a Koulibaly o a Kean?
«Penso che sia ignoranza, chi lo fa neppure si rende conto del suo gesto. Sono cose senza senso, che non dovrebbero esistere. Spero che si capisca la gravità di certi episodi e che non si ripetano più nei nostri stadi».
L’attaccante che più l’ha sorpresa in campionato?
«Piatek mi ha davvero stupito: al primo anno da noi ha avuto un impatto devastante. In pochi lo conoscevano e ora è lì che lotta per il titolo di capocannoniere».
L’Atalanta di Gasperini la rivelazione?
«Fino a un certo punto. È da tempo che percorre questo cammino, che viaggia a questi livelli, che gioca questo calcio».
Spal e Udinese si salvano?
«Lo spero per loro, hanno fatto parte della mia vita, a Udine sono cresciuto ed è la mia squadra del cuore da piccolo, Ferrara mi ha lanciato. Una vera famiglia, ma ce la possono fare entrambi».
Vero che non perde una partita dell’Italia in tv di ogni sport?
«Soprattutto basket e pallavolo».
Pallone d’oro: Lev Yashin nel 1963 è l’ unico portiere ad averlo vinto. Quando succederà di nuovo?
«Visti i tempi, la vedo difficile che sia a breve. Peraltro pure i difensori non vengono premiati, perché piace premiare quelli che fanno il gol non quelli che li evitano».
A proposito, lei chi avrebbe votato: Messi, Ronaldo o Modric?
«Forse Modric per dove è riuscito a portare la Croazia nell’ultimo mondiale. Ma tra i tre c’è solo l’imbarazzo della scelta».
Mi racconta la sua emozione a lavorare con un mito come Ancelotti?
«Mi ha subito colpito la sua umanità. Ha un rapporto con il gruppo semplice, tiene tutti in considerazione, dà fiducia a ognuno di noi: è vero, la sua forza è nella gestione del gruppo».
A proposito, voi che gruppo siete?
«Un gruppo dove non c’è nessuno che si mette davanti agli altri, dove il concetto di squadra domina su tutto. Sono rimasto sorpreso pure io dal trovare un clima simile: non c’è differenza tra l’ultimo arrivato e quelli che stanno qui da più tempo. Sembra una cosa normale, ma non lo è».
C’è un tecnico che più degli altri l’affascina?
«Davanti a tutti metto Guardiola. Dovunque è andato ha vinto imponendo il suo grandissimo gioco che è spettacolare ma anche efficace».
I compagni che più la fanno divertire nello spogliatoio?
«Insigne, Dries e Malcuit sono trascinanti quando c’è da ridere».
Il suo modello di portiere ideale?
«Neuer ha un gioco unico coi piedi, fondamentale nella costruzione del gioco. Oltre ad Handanovic che ho sempre ammirato per il coraggio. Di Buffon, ovviamente, prenderei ogni cosa».
Che ruolo hanno i social per lei e per la sua generazione?
«Uso Instagram, metto qualche foto ma non è che sono uno accanito. Lo uso per tenere i rapporti con gli ex compagni, ma mi rendo conto che stanno prendendo sempre più importanza anche nel mio mondo. E allora, ci vado cauto».
Non deve essere facile in un tempo in cui i campioni sono anche star mediatiche.
«Sempre più persone ti guardano mano a mano che vai avanti nella carriera e non puoi e non devi dare esempi sbagliati. E soprattutto non puoi essere un esempio sbagliato. Questo ti impone una duplice attenzione: non solo a quello che fai su un terreno di gioco, quando indossi una maglia e pari, ma anche quando hai un telefono o un computer tra le mani. Ci sono dei limiti che devi rispettare: siamo dei professionisti e anche questo fa parte dell’esserlo. Ed è logico che bisogna saper non andare mai oltre».
Lei è molto magro. Ogni tanto cade in qualche tentazione?
«Una pizza dopo una partita non me la nego mai. Ma non è uno sgarro alimentare. Un vero e proprio colpo di testa è quando mangio la mozzarella di bufala. Qui basta un attimo per ingrassare».
Mamma Manuela e papà Arrigo?
«Mamma, quando mi sono infortunato, è venuta giù a farmi compagnia. Appena possono stanno da me. Come mia sorella Michela, che fino a qualche anno fa era lei la mia fotografa ufficiale. Sono presenze importantissime: per loro sono sempre un ragazzino, mi consigliano continuamente di restare umile, di tenere i piedi terra, di non correre in auto. E poi, ovviamente, studia… Ora saranno tutti da me a Pasqua, con la mia ragazza che è delle mie parti».
Come si passa da Ferrara a Napoli?
«Lì era facile andare in giro senza essere notati. Io non è che esco tanto, ma quelle poche volte metto in conto che si può avvicinare qualcuno a chiederti una foto».
Kepa è stato pagato 80 milioni, lei è tra i costosi portieri italiani. Può pesare?
«Si sa che questo è il mercato. Non solo Kepa. Ma noi non dobbiamo pensare a quanto è stato pagato il nostro cartellino. Certo, è una bella responsabilità, ma non è una questione che mi tocca».
Lei è sulle tracce di un mito del Friuli: Dino Zoff.
«Ho letto le belle parole che ha avuto per me. Essere considerato un suo erede fa venire i brividi perché lui è un leggenda del nostro calcio. Il suo paese, Mariano del Friuli, non è molto lontano dal mio: per carattere un po’ ci somigliamo come tanti che arrivano dalla mia terra. Spero di incontrarlo quanto prima perché sarebbe un sogno. Per me e per mio padre anche. La sua è una carriera straordinaria».
Peraltro decollata proprio qui a Napoli.
«Io rispetto a lui qui, però, vorrei vincere lo scudetto. Lui non ci è riuscito nel Napoli. Lo vorrei per la gente di qui, per i tifosi che lo sognano. Spero di riuscirci il prossimo anno».
Articolo modificato 6 Apr 2019 - 21:19