È una stretta di mano formale, da giacca e cravatta. Il Napoli e Insigne si sono dati una tregua, hanno spezzato quella freddezza che regnava sovrana. Un gelo che le luci e i chiarori di primavera disciolgono, con l’avvento di maggio.
Primavera è rifiorire, è guardare avanti. A quello che sarà un cammino nuovo. Insigne lo inizierà – se si terrà fede all’incontro di oggi – ancora in azzurro. Ci siamo: tecnicamente, poco da obiettare. Chiarezza, una stretta di mano e via, a programmare il futuro.
Ora, però, serve mettere da parte la formalità dei contratti, degli incontri. Serve far parlare il cuore. Tra Insigne e Napoli, i napoletani, c’è una frattura. Netta, evidente, inasprita da fischi catastrofici dopo l’Arsenal. E dalle lacrime di chi, al Napoli, ci tiene malgrado tutto.
Bando alle vicissitudini, alle incomprensioni. Una pietra posta sopra, una mano tesa. Così, senza tenere un broncio nocivo. Un’aria avvelenata. È ora di chiarire, riappacificare, tendere il ramoscello d’ulivo.
Come? Sul campo.
Lasciate che Insigne torni, che indossi la fascia, che giochi. Basta poco. Un goal, una giocata, un risultato. Un coro, uno striscione. Basta un passo da entrambe le parti, senza neppure che la volontà giochi un ruolo importante. A volte basta una casualità, una scintilla, il destino, per chi ci crede. Ma il monito, una speranza più che una reale richiesta, è: riavvicinate il capitano del Napoli al Napoli. Basta poco: un tiro a giro, una rete che si gonfia, un’esultanza sotto la curva.