C’era un qualcosa di simbolico in quell’acquazzone che si è rovesciato sul San Paolo. La danza della pioggia l’ha fatta il Napoli, un intervallo di rovesci e temporali che si è scagliata sul San Paolo a mo’ di presagio. La pioggia purifica, elimina le scorie. Porta con sé tutto il passato, lo disgrega, lo elimina. Fa bene alla terra. Dopo, d’altronde, sbuca sempre il sole. Lì, a fare capolino, a rasserenare.
Quella di un abbraccio speciale tra Insigne e la tifoseria non poteva che essere una serata di pioggia. Acqua con cui ci si scrolla da dosso le sofferenze, le angosce e i malintesi reciproci. Lì, in una cornice anche fin troppo triste, un guizzo che rendesse la serata meno insipida serviva. Che trasformasse la banalità di quella serata in qualcosa per cui valesse la pena gioire.
Lorenzo Insigne ha il peso di una fascia discussa, di un momento no e di evidenti dissapori con la tifoseria. Ma al 98′ non ha paura a calciare un rigore decisivo per la vittoria. Se non è un test per essere Capitano, con la maiuscola, poco ci manca.
Pochi, ma buoni, al San Paolo. Lì, in 16 mila, a urlarne il nome: il San Paolo che celebra il suo capitano meno di un mese dopo gli ultimi fischi. I dissapori sono andati, c’è voluto un po’, qualche passo indietro anche da parte sua. I passi indietro, d’altronde, non sono un male: servono per ragionare meglio su quale strada intraprendere. Ora Insigne l’ha capito: è la strada di casa. Attende solo un cenno, poi una firma, il rinnovo.
È bastato un rigore al 98′ nella banalità e una pioggia per scrollarsi di dosso tutto. Ah, benedetta pioggia.