Le istantanee che arrivavano dal San Paolo, una volta, erano diverse. Raccontavano una folla radunata intorno ad un pullman. Cori, applausi, tante belle scene d’amore. Sembra una sbiadita polaroid di chissà quale passato: in realtà appena un anno e mezzo fa, alla partenza del Napoli per Firenze, un plebiscito salutava i suoi beniamini verso un’impresa. Le cronache raccontano di come sia fallita quella missione impossibile, di come – però – fosse rimasto intatto il legame viscerale tra la gente e la sua squadra.
Sebbene fosse chiaro e inevitabile che qualcosa, poi, dovesse andare a tramutarsi, a evolversi, dopo l’addio di Sarri, nessuno avrebbe previsto che l’incedere del tempo avrebbe rovesciato sventure e temporali sul Napoli. Su Napoli. L’ammutinamento, il ritiro, le voci, gli audio fake che corrono su whatsapp e un’opinione che tutti non vedono l’ora di manifestare. Una caccia al colpevole che porta ad accusare di stregoneria tutti i 25 nella rosa. Napoli oggi è la Salem del ‘600.
Ieri, nell’allenamento a porte semi-aperte o socchiuse del San Paolo, l’ennesimo punto di rottura. Con il rifiuto del ritiro la squadra aveva espresso la propria posizione, la società l’aveva fatto con un comunicato. Entrambi avevano le loro colpe. Ha scelto poi di reagire la tifoseria, unica parte lesa, unica vittima fino a quel momento. Ha scelto di impugnare l’ascia del boia, di infliggere un colpo netto e definitivo. Il cerchio si è rotto, le tre unità che compongono il Napoli si sono allontanate senza risparmiarsi colpi. Sic transit gloria mundi, come sono effimere e passeggere le cose che caratterizzano la vita umana!
E così è finito il ciclo dei grandi senatori di Napoli, di Mertens e Callejon, di Koulibaly, Allan e forse, chissà, di Insigne. Sono stati anni speciali, del Napoli più in alto che si sia mai visto, che forse, come Icaro, si è avvicinato fin troppo al sole. Non ha raggiunto i trofei, forse per sfortuna, forse per attitudine. Bastava un grazie, un arrivederci, una stretta di mano e un’effige scolpita nel muro della storia del Napoli. Mertens avrebbe potuto salutare da top scorer e forse ci riuscirà. Ma sarà un addio segnato, comunque, da una macchia. Forse sarebbe stata meglio chiuderla al momento opportuno, rivoluzionare tutto nelle idee e negli uomini, prima che la muffa arrivasse fino alle fondamenta e facesse crollare tutto.
Forse, da un altro punto di vista, è meglio così, meglio che sia imploso l’intero sistema: piuttosto che continuare a fingere, tacere, costruire veleni nel proprio interno e mettere, all’esterno, pezze temporanee.
È la fine di un ciclo ed è finito fin troppo male. A meno che… a meno che non sia ancora finito. È novembre, fino alla Primavera c’è da aspettare. Intanto ci sono partite da giocare, obiettivi da conquistare. Servono chiarimenti decisivi per il bene comune, anche a scadenza temporale, prima che ognuno imbocchi la propria strada a giugno. Abbandonate l’ascia dei boia e l’ostinata ricerca al colpevole: l’unica cosa da perseguire, in casi del genere, è una soluzione.
Vittorio Perrone
Articolo modificato 9 Nov 2019 - 10:17