Si sente delegittimato, Carlo Ancelotti. Forse un po’ tradito nell’orgoglio. Era evidente, nei meandri della sala stampa del San Paolo, la delusione: neanche lui avrebbe pronosticato un altro crollo, ancora più netto, ancora più deludente. Forse è volta in questo senso l’accusa velata ma non troppo ai calciatori: Carlo Ancelotti, dopo l’exploit di Liverpool, si sarebbe aspettato ben altra prova contro il Bologna. L’1-2, che è frutto forse dei suoi errori nel sbilanciare oltremodo il Napoli, forse della mancata applicazione dei calciatori, è il risultato più inaspettato che ci fosse. L’inferno di un anno senza coppe europee si sta materializzando settimana dopo settimana.
E la delusione aumenta, come il malcontento generale. Le ultime cronache raccontano di un incontro, tra le mura di Castel Volturno, dai toni tutt’altro che pacifici. Accuse e scuse, prese di posizioni e di responsabilità. E la trasformazione del leader calmo: lui, sempre carota e mai bastone, ha indetto un ritiro. Era scuro in volto domenica, lo sarà stato ieri: linea dura, tutti a Castel Volturno da mercoledì. Ognuno si assuma le proprie responsabilità, è il messaggio che traspare dopo il mortificante avvio di campionato. Il tempo non è dalla sua parte, in città ne chiedono la testa e lui ne è più che consapevole: “Mi sento in discussione”.
Era arrivato come una garanzia di ordine, di compostezza e soprattutto di risultati. Non sono arrivati: nel giro di un anno e mezzo il gigante Carlo, con il sorriso di chi trasmette sicurezza, si è trasformato in una controfigura in miniatura. Il leader calmo ha perso il controllo del gruppo e della piazza che l’aveva accolto come un continuatore, non come un distruttore. Oggi il Napoli è un altro e Carlo dà la sensazione di un deja-vu: a chi lo aveva seguito a Monaco questa situazione non è inedita. Lì, in Baviera, Carlo sperimentò il fallimento, un inedito per il vincente assoluto che è. Oggi sembra più che un incidente di percorso, sembra un susseguirsi di eventi che confermano le parole del 2017 di Uli Hoeness.
“Con Ancelotti non c’era alcun problema, con lui andava tutto bene – spiegò alla Bild il numero 1 del Bayern – Ma tutti i giorni c’era una lite fra i fisioterapisti, i medici e i collaboratori di Ancelotti. E con uno staff così non si può lavorare nel modo giusto. Si discuteva più su chi dovesse sedersi in panchina che su aspetti importanti delle partite e questo, nel lungo termine, non poteva essere un bene per la squadra”. Assenza di serenità e un Bayern che – in campo – era lento e sterile, una fotocopia sbiadita del guardiolismo a cui avevano assistito in Germania.
La Napoli di Ancelotti non è l’idillio immaginato per ripartire, è un incubo a cui nemmeno il top dei top degli allenatori sa reagire. Il patrimonio sarriano sembra essere stato depauperato da scelte che in campo e nello spogliatoio fanno discutere. E i calciatori hanno la loro grossa fetta di responsabilità. La fine di un ciclo, d’altronde, non può che arrecare dolore a chi si aspettava di vedere un completamento dell’impresa solo sfiorata nel 2018. Ma è triste che ad accompagnare il Napoli verso l’inevitabile crollo delle fondamenta sia un guru come Carlo, il cui nome resterà intaccato da un’esperienza così negativa. Restano le Coppe: il 2006 a Milano fu simile, con le voci di esonero e il ritiro a Malta. Arrivò la Champions a maggio. A Napoli è diverso, non bastano più le vetrine: la qualificazione in Champions è il pane quotidiano per le casse della società, dover rifondare senza quei 25 milioni e oltre sarebbe un cataclisma. Carlo Ancelotti può restituire un prestigio europeo sempre crescente, qualificandosi agli ottavi di Champions e puntando ancora più in grande. Ma la scossa serve in campionato e anche urgentemente.
Intanto, la versione “dark” del leader calmo cozza con il suo credo. Il 15 gennaio, all’Università Vanvitelli, disse: “Il momento difficile non è ancora arrivato, arriverà, e in passato i presidenti mi chiamavano e mi dicevano: coi giocatori sei troppo morbido, devi usare la frusta. Lo dicono tutti. Pensavo fosse un costume italiano, invece mi è successo anche in Francia o Inghilterra. Per tutti bisogna usare la frusta. Io ho sempre risposto: non la so usare. Non so essere autoritario. Dipende dal carattere. Se usassi la frusta non sarei credibile. Non voglio esecutori di ordini, i giocatori non sono soldati“. La richiesta dei calciatori di un leader più duro sembra il sintomo definitivo: Carlo Ancelotti ha perso il controllo, forse anche la calma. Riuscire a recuperare il gruppo sarà un’impresa degna della “decima” al Real o delle Champions rossonere. Ma il tempo non è dalla sua parte e il ticchettio è incessante. Servono risultati immediati, altrimenti confermerà le dicerie che vanno di moda in queste ore: ovvero che Carlo Ancelotti appartiene a un calcio passato, lontano e che ormai rischia seriamente di finire in soffitta.
Vittorio Perrone
Articolo modificato 15 Nov 2020 - 23:25