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Marechiaro è un piccolo borgo di pescatori, a picco sul mare, sito nel quartiere di Posillipo: un luogo suggestivo, dove si respira un’atmosfera unica. Il nome del borgo deriva dal latino “mare planum” (dove il mare è calmo) che tradotto in napoletano diventa prima mare chianu fino ad arrivare all’odierno “Marechiare”.

Fu Paolo Cannavaro (dal quale il 17 in seguito ereditò la fascia di capitano), a creare il gioco di parole fra il nome dell’eterno Marek Hamsik ed uno dei più bei borghi di Napoli: Marechiaro.

È passato esattamente un anno dal giorno dell’addio al Napoli di Marek Hamsik col conseguente trasferimento al Dalian Yifang; un anno ed il Napoli senza lui sembra quasi trasformato, svuotato.

Un anno fa, proprio nel giorno di San Valentino, andava via una bandiera, un simbolo, colui che ha fatto innamorare le nuove generazioni del Napoli, con la sua cresta alta e la sua aria da bravo ragazzo.

Ha scelto un semplice addio, lui che semplice, lo è sempre stato, ha scelto il giorno di San Valentino, lui che ci ha fatti innamorare tutti. Perché Marek, a Napoli, ed in tutta la penisola, è sempre stato questo: semplicità, umiltà, amore.

Nel giorno di San Valentino, nella patria di inguaribili romantici, quando ancora tutti erano innamorati dell’allora Capitano, lui ha scelto la strada meno dolorosa, andando via nel silenzio, facendosi sostituire al minuto 74′ di NapoliSampdoria, raccogliendo l’applauso di tutti i presenti e battendo la mano sul cuore.

Questo gesto ha scatenato l’ira di alcuni tifosi che avrebbero voluto tributargli di più, perché in pochi avevano capito che Marek stava andando via e tutti, avrebbero voluto manifestargli più affetto, più amore. Restituirgli tutto quello che lui aveva dato a questa città.

Perché Marek, all’apice della sua carriera, ha rifiutato ingenti stipendi, trofei e visibilità in altre città ed in altri campionati, pur di vincere qualcosa con la maglia azzurra che ha sempre sudato ed onorato. Ecco perché qui a Napoli, tutti lo amano, quasi come il Santo patrono della città.

Lui che c’era con Reja, Donadoni, Mazzarri, Sarri ed Ancelotti, lui che c’è sempre stato a difesa della squadra e della città (come quando a Bologna segnò esultando sotto la curva dei padroni di casa che in quel momento intonavano i soliti cori beceri).

A volte però, le parole si fermano ed iniziano a parlare i numeri: ebbene, 520 presenze, 121 reti, infinita qualità, classe, tecnica, correttezza e semplicità, questo era Marek. Quando si cita Hamsik alle nuove generazioni tutti lo ricordano con un sorriso sul volto e lo raccontano quasi con gli occhi lucidi.

Lui che ha sempre voluto vincere qualcosa in più di due Coppe Italia ed una Supercoppa Italiana, tatuando sulla sua pelle le date della vittoria di questi trofei, non riuscendo mai a vincere il tanto ambito scudetto coi partenopei; ma più di 10 anni di onorata carriera con la maglia azzurra, per i napoletani, valgono quasi quanto uno scudetto.

La società, in occasione della sfida casalinga di Champions League contro il Genk (vinta per 4-0 dai partenopei), gli ha attribuito un breve spezzone di gioco di luci, musiche e ricordi nei minuti che separavano il primo, dal secondo tempo, ma è molto, molto poco, per un eterno capitano che si è accontentato anche del saluto di uno stadio semivuoto (in preda alla protesta per gli scarsi risultati, lo scarso impegno e l’ammutinamento dei mesi scorsi).

Ma lui è così, semplice e si è accontentato anche di questo piccolo gesto, pur di ricevere l’affetto dei suoi ex tifosi che tuttora lo seguono molto attentamente in Cina: difatti non c’è un tifoso partenopeo che ad ogni gol non s’avvicina all’amico di fiducia per dirgli: “Ma hai visto? Ha segnato Marek“.

Perché è proprio vero: ci sono vite che capitano e vite da Capitano: signore e signori, Marek Hamsik, Marechiaro. Grazie di tutto, eterno Cap17ano.

Matteo Grassi

Articolo modificato 17 Dic 2021 - 15:28

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Matteo Grassi