Umberto Calcagno, vicepresidente dell‘Aic, è intervenuto ai microfoni di Radio Kiss Kiss Napoli. Il dirigente ha parlato del possibile ok del Governo alla ripresa del campionato e le criticità del protocollo.
Ecco le sue parole:
“Stiamo lavorando direttamente e indirettamente, perché quando si muove la federazione ci interessa tutti. Abbiamo mandato le nostre osservazioni per quanto riguarda il protocollo e come ho visto, molte di queste sono state accolte.
In caso di positività la squadra coinvolta non potrebbe continuare il torneo, è ovvio”
Il punto della sospensione del campionato in caso di positività, è quella che rivela la maggiore criticità. Speriamo di risolverla e probabilmente la risolveremo a livello di paese nelle prossime settimane.
Nessun evento sportivo fino al 14 giugno? Ci siamo abituati in queste settimane a non innamorarci delle date, dobbiamo ragionare sulla sostanza. Questo è un primo step, poi dobbiamo ragionare anche su altre cose, sugli altri protocolli dopo aver avuto l’ok. Dobbiamo vedere come fare per le trasferte, gli aeroporti, i pullman.
Rischio infortuni? Qualche rischio in più è fuori dubbio che ci sia, nessuno è abituato a un periodo di sosta così lungo se non in caso di infortunio. È una delle problematiche che dovremmo affrontare. Ci sono alcuni calciatori più preoccupati e altri di meno.
Differenza con la Germania? Penso che la Germania abbia dato un impostazione diversa nel sistema. Molte delle loro scelte sono delle scelte di fondo, una situazione che esula dal Mondo dello Sport in particolare. Noi dobbiamo chiederci, come sistema sportivo, capire se il nostro sport come gli altri possa convivere o meno con il virus. Ci stiamo lavorando da tanto tempo, ma siamo affidati alla comunità scientifica. La mia paura se non si riuscirà a limitare il controllo del contagio, è che poi anche a settembre, ottobre, novembre, potremmo conviverci e quindi non dobbiamo fossilizzare solo al periodo attuale.
I calciatori vogliono giocare? Bisognerebbe evitare strumentalizzazioni senza stare da una parte e da un’altra. Chiunque vuole riprendere a lavorare, figuriamoci se un ragazzo di 25-30 anni non vuole tornare a fare la sua professione. È diverso dire ‘voglio tornare per forza’. Poi la percezione cambia anche da chi ha contratto il virus e chi no. Abbiamo una responsabilità più grande rispetto a quello che sembra“.
Articolo modificato 18 Mag 2020 - 14:51