La storia tra il Napoli e l’attuale tecnico della Juventus (chissà ancora per quanto ndr.) è nata per caso. Da un’intuizione di De Laurentiis, che dopo l’addio di Rafa Benitz ed incassato il no di Unai Emery virò sul toscano, senza però prima sondare Sinisa Mihajlovic. Alla fine fu Sarri e iniziò un triennio da incastonare nella storia del Napoli per quanto visto nel rettangolo di gioco. Un’orchestra sinfonica degna dei più grandi teatri al mondo. Questo è stato e sempre rimarrà il Napoli di Maurizio Sarri.
Una squadra perfetta che però non è riuscita a regalare al suo popolo nessuna vittoria. Il Napoli di ieri, non è stato bello da vedere, non è stato divertente da vedere, non ha fatto strabuzzare gli occhi per grandi giocate. Ieri in campo non è sceso un Napoli “perfetto” ma una squadra collegata mente, cuore e gambe con il suo allenatore.Una squadra che ormai ha capito che a volte, in campo come nella vita non basta essere bravi ma bisogna anche essere cattivi e che bisogna saper soffrire, resistere, aspettare perché prima o poi il tuo momento arriverà. In 90 minuti di gioco più rigori, questo Napoli, è riuscito ad essere tutto ciò che la squadra di Sarri non era.
Ieri è stato definitivamente cancellato il triennio del bel gioco. Perché la perfezione fine a se stessa non ha e non può avere valore se non puramente contemplativa. Gli azzurri erano una squadra da ammirare, non da vivere. Bisognava godersi lo spettacolo apprezzando quanto offerto. Il Napoli di oggi, il Napoli campione, è invece una squadra operaia. Di bello ha poco e niente, da ammirare ancora meno ma è una squadra collegata, connessa.
Una squadra da vivere anche da casa, anche quando si guarda la partita, anche se non la si può sostenere dal vivo. Questa è una squadra che ti fa sentire parte di sé perché soffri con lei, perché la guardi dare tutto. Una squadra con mente, cuore e gambe collegati al suo tecnico e al suo popolo che finalmente ieri è tornato a gioire.
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ILARIO COVINO
Articolo modificato 18 Giu 2020 - 12:24