Nella carne, più che nel cuore. Nel sangue che scorre nelle vene. Proprio lì, perfettamente incastrato nelle nostre viscere. Diego, che pulsa nella parte più profonda e interna, che si confonde con il nostro Dna.
Del Diez e delle sue magie con il pallone tra i piedi si è scritto e si scriverà ancora per molto. Di Diego altrettanto, ma a volte in maniera ingiusta, cattiva e insensata. La realtà è che lui aveva capito fin da subito in che parte del mondo era nato, e quel desiderio di riscatto e di giustizia cucito sulla sua pelle lo ha accompagnato per tutta la vita.
Questo post in breve
Il desiderio che lo ha consacrato non solo il più grande calciatore di tutti i tempi, ma anche alla stregua di un leader politico, quello che il Pibe è diventato rendendosi difensore degli ultimi. Diego non ha mai avuto paura, infatti: di spalleggiare cortei, di proclamare invettive contro uomini politici, di appoggiare la causa palestinese, di schierarsi dalla parte dei leader comunisti sudamericani e della gente che, come lui, aveva assaggiato la miseria.
Leader politico anche quando “La mano de Dios” accompagnò quel pallone in porta segnando agli inglesi il gol che non hanno mai più dimenticato, vendicando così l’Argentina dalla guerra delle Falkland. Leader quando si preoccupava di risollevare i suoi compagni, quelli meno bravi di lui. Leader perché Diego era il condottiero del Sud del mondo. Perché fu capace di risollevare Napoli caricandosela sulle spalle e consegnandola alla storia, facendo da spartiacque tra due epoche. Diego è l’età d’oro, quella di mezzo; prima di lui Napoli non aveva mai vinto, dopo di lui nemmeno. El Pibe ha incarnato l’altra faccia di quella città e ha contribuito a renderla immortale.
Napoli lo ha amato invadendolo di un amore folle e incredibilmente intenso, e Diego ha ricambiato, perché non si è mai piegato ad alcuna logica che potesse sporcare quel legame così pulito e intenso. La vera rivoluzione l’ha fatta lui, prendendo un intero popolo per mano, la sua gente, e gli ha permesso di alzare la testa, di sentirsi orgogliosi. Ecco perché il mondo, oggi, lo piange: perché ha unito in un solo cuore gli ultimi del mondo, ha combattuto le sue battaglie da comunista d’altri tempi. Perché per quanto incomprensibile possa risultare a chi non l’ha vissuto, o a qualcuno a cui non è mai stato raccontato, Diego ha rappresentato la felicità di chi finalmente risorgeva dalle macerie, di chi nel calcio trovava non solo rifugio e boccata d’aria dalla vita quotidiana, ma vera e propria sacralità e devozione.
Non un calciatore comune, non un uomo comune. Uno che da solo si è fatto tanto male, ma che nel fare del bene agli altri non si è mai risparmiato, perchè campione anche di generosità, di umiltà, di altruismo. La sua essenza è volata tra le favelas del mondo, tra le periferie dimenticate. Esagerato, straordinario, con il suo correre sempre sull’orlo del precipizio, con la sua continua guerra al mondo che non gli piaceva, con il suo inarrivabile e indiscutibile genio.
Fragile, forse troppo, come un amico bisognoso di essere tirato su dall’abisso, stretto al petto e abbracciato, Diego si è concesso il diritto alla debolezza, con la sua profonda autenticità e con la sua umanità. Non ha temuto di mostrarsi nella sua carne viva, spesso ferito e disarmato. Difficile, se devi sottostare alle regole dei mass media che aspettano solo un tuo passo falso. Ecco, Diego quelle regole le ha rigettate: la sua grandezza sta anche nell’essersi concesso agli altri imperfetto e fallace, senza mai nascondersi e senza mai nascondere la passione con cui si è donato, la stessa passione con cui faceva l’amore con il pallone. La passione che merita di essere bruciata, come diceva Troisi.
“Nadie te puede quitar lo bailado”, afferma un proverbio argentino. Nessuno può toglierti quello che hai ballato. È per questo che l’ultimo tango di Diego suona ancora forte: in Argentina, a Napoli, in tutto il mondo. Perché il tango non si intona: il tango si sente, e Diego lo sentiva tutto. “E a luci spente, suona il tango per magia. Resterà qui per sempre, come un fermo immagine”, cantava qualcuno.
Ha vissuto sessant’anni, Diego. Non abbastanza, per chi lo ha amato e lo ama; sufficienti, però, perchè sia ricordato in eterno.
A cura di
Alessandra Santoro
Articolo modificato 29 Nov 2020 - 17:25