L’ex calciatore di Napoli e Juventus, Ciro Ferrara, è intervenuto nel corso di “Domenica In” condotto da Mara Venier su Rai Uno. Ferrara ha voluto fare un accorato ricordo di Diego Armando Maradona. Ecco quanto evidenziato:
“Legame con Diego? Partì con la presentazione dell’84. Io ero solo un ragazzino, ero in campo con lui e fui premiato proprio da lui. Dopo 20 giorni andai in ritiro e da lì nasce un rapporto incredibile. Sono stato l’unico compagno di squadra, amico, vicino di casa, l’unico per i 7 anni anni al Napoli. Questo legame è durato col tempo, e ho avuto tante dimostrazioni. Ad esempio quando fui invitato al suo addio al calcio come unico italiano e soprattutto quando tornò al San Paolo per il mio addio. Diego volle fortemente essere presente, non potrò mai dimenticare quel giorno. Sono felicissimo di essere passato in secondo piano quel giorno.
Diego ha avuto zone di ombra ma fortissime zone di luce, non sempre raccontate. Io però ho avuto tante dimostrazioni che Diego non è cattivo come lo descrivono, ma è un uomo d’oro, del calciatore neanche ne parlo. Sono 10 giorni che non esco di casa e non ne parlo con nessuno, però per me Diego è stata una rivoluzione, è stato tutto per me. Quando arrivò a Napoli la rosa non era al suo livello, eppure lui decise di arrivare e dare una rivincita alla città.
Primo scudetto? Fu un macello! I suoi compagni di squadra lo hanno amato così tanto perché lui, il più forte giocatore del mondo, ha sempre deciso di mettersi da parte. Dava sempre i meriti al gruppo. Se per qualche giorno non veniva ad allenarsi ma poi si dimostrava uno come noi, non potevamo dirgli niente. Spesso diceva ‘io sono un giocatore normale’. E io gli dicevo ‘Ma se tu sei normale, noi cosa siamo?’.
Ho giocato con grandissimi campioni, ma solo in lui ho trovato questa semplicità e genuinità. Lui andava contro tutti, ma con i suoi compagni sarebbe andato in guerra. Questo è il bello del gruppo che si creò con lui. Ho un po’ di rammarico perché nessuno è riuscito ad aiutarlo, nessuno ha dato peso a ciò che gli succedeva. Avremmo dovuto aiutarlo e spingerlo a venire più spesso ad allenarsi, solo così sarebbe stato bene”.