Dopo l’ennesima sconfitta, l’ennesima delusione il Napoli ne esce ancora a pezzi contro la squadra che qualche mese fa aveva battuto per la bellezza di 6-0. Si fa presto a cambiare rotta, ad invertire marcia e ritrovarsi in un batter d’occhio sulla sponda opposta che maschera il fascino all’indegnità, quella posta sul volto degli azzurri dopo aver aggiunto anche il Genoa ai suoi passi falsi. Una partita terminata col 2-1 per i padroni di casa che piazzano i due colpi in soli 26 minuti, reti figlie di errori inaccettabili difensivi che stravolgono il corso della partita. Mentre il Napoli era stanco di combattere e solo Politano evita ulteriore umiliazione grazie al suo gol che riapre la gara ma che infine non è servito a ribaltare le sorti di un destino ormai già scritto.
Un fallimento che va oltre la tattica, oltre ai disimpegni offensivi e difensivi. Inutile acclamare la sfortuna o il mancato controllo alla Var per un presunto rigore per un contatto tra Scamacca e Mario Rui al 94′ come è inutile esaminare le statistiche che invocano e ricordano la disfatta con lo Spezia. Diventa tutto superfluo in un decimo di secondo quando si realizza la serietà del danno a cui si sta facendo fronte senza essere in grado di darsi una vera spiegazione a tutto questo: il perché e il come si sia arrivati a questo punto travolgendosi in un barlume di difficoltà, in un tunnel buio senza uscita con l’illusione di aver intravisto la luce dopo l’insuccesso di un progetto tecnico firmato Ancelotti. Le incertezze, però, ritornano a bussare alla porta e con un soffio di vento fanno crollare il castello di carta costruito dagli azzurri. Si ricade nello stesso vortice con lo stesso problema: la mentalità. Aspirazione a obiettivi importanti senza avere le caratteristiche da grande squadra, si cade senza avere la forza di rialzarsi di credere ancora nel salvare l’impossibile ribaltando una gara che sembrava persa facendo squadra e mostrando realmente la propria personalità. Spadroneggiare nel proprio campo come accadeva in quelle sontuose serate di Champions che rendevano orgoglio a chi ci credeva davvero, a chi era sempre presente e che ora “non gli resta che piangere”, di assistere ad un’altra umiliazione di chi non ha più sicurezze, di chi crolla davanti all’errore senza trovare via d’uscita.
Cambiamento: un progetto tecnico per rifondare
Un problema che pesa, diventa sempre più grande e che come unica cura ha la rifondazione: quella che doveva avvenire già l’anno precedente. Un cambiamento per dare aria e mettere in ordine tutto lo scompiglio portato finora, per dare alla luce un vero progetto tecnico solido su cui basarsi. Ricreare un gruppo squadra da lì, da un piano ben preciso che abbia degli interpreti specifici in armonia tra loro. Persone a cui credano a questo progetto, che abbiano costanza nel portarlo al termine per dare il via a una vera e propria era e non a dare inizio a un piccolo capitolo creato solo per colmare i disagi attuali. Mettendo in preventivo le vere mancanze di questa squadra e i suoi punti di forza basandosi sul concetto di unione per fortificare lo spogliatoio che risulta momentaneamente debole ai suoi sbalzi discontinui. Con tattica sicuramente da migliorare visto i tanti errori dopo un mercato invernale freddo mentre si prepara già a quello estivo con una lista di necessità come un terzino.
E mentre si riflette sul reale problema del Napoli e soprattutto da cosa sia dovuto, l’orgoglio napoletano viene trafitto giorno dopo giorno alla ricerca di una svolta con un calendario che di certo non aiuta a riportare calma ed annuncia la prossima gara quella con l’Atalanta per contendersi la finale di Coppa Italia per far rimanere in vita un’altra competizione sperando in una seconda impresa come quella dello scorso anno.
Sara Madonna
RIPRODUZIONE RISERVATA