Tornano Sarri e Hamsik, il passato no: la nostalgia, in un mondo senza vie di fuga, fa ancora più male

È come se le lancette del tempo si fossero fermate al venti maggio del duemiladiciotto e tutto ciò che è stato, in un secondo momento, sia soltanto una fantasia, un nastro che si può tranquillamente riavvolgere e poi cancellare. Tutto ciò che è stato il Napoli dopo Maurizio Sarri è un cantiere improvvisato in costruzione, ma di cosa? Non è dato saperlo né agli operati né agli umarèl appostati come tradizione vuole. È che non solo il Napoli, da Ancelotti a Gattuso, da Lobotka a Bakayoko, s’è trasformato in un’ombra di ciò che era, è anche che il mondo sta prendendo una piega veramente assurda. Stanno sbiadendo le immagini della vita precedente: oggi guardando un film ci si chiede perché in un luogo chiuso non indossino la mascherina. E tutto ciò che prima era così semplice, così immediato, così istintivo, oggi è ragionato, evitato, quasi colpevolizzato.

S’aggiunge una malattia che dilaga, che colpisce, penetra, distorce la concezione della realtà anche quando ti prende in forma lieve. Si sommano i giovani alienati dalla DaD, le attività che affiggono i cartelli funebri: vendesi. Il domani è un gigantesco punto di domanda che s’intravede a stento dietro la coltre di nebbia. È tutto così oscuro, tutto così caotico e randomico: c’è davvero poca certezza. E intanto gli ultimi residui della vita di prima continuano a sbiadire, a diventare sempre più lontani. Chi non ha paura che arrivi quel giorno in cui dovrà spiegare ad un figlio o un nipote cosa diamine fosse un concerto? O cosa fosse la torcida di uno stadio di calcio? E alla fine il racconto proseguirà a ritroso e troverà un punto d’incontro anche nel calcio, nel Napoli, fino al venti maggio del duemiladiciotto.

Non è solo la data di Napoli-Crotone, è l’inconsapevole chiusura d’un percorso cui oggi si guarda con nostalgia. Il tardo-inverno del duemilaventuno è un tuffo nel passato gigante, decretato all’unanimità dalla tribuna del social. Perché l’estate prospetta una rifondazione nel calcio a Napoli e quale occasione più propizia per vaneggiare sul passato, con occhi un po’ sognanti. Perché lo stadio vuoto – l’abbiamo vissuto dalla tribuna stampa – è solo una grandissima chiesa sconsacrata e cupa. Quindi s’invoca un po’ Sarri, un po’ Hamsik, un po’ Benitez, un po’ Mazzarri, un po’ Jorginho, un po’ (ma stavolta meno del solito) Cavani.

È che il popolo napoletano è un po’ sognatore già di suo, poi vuoi mettere in un periodo così complicato? Davanti c’è solo la coltre grigio scuro, dietro invece un’isola felice di ricordi idealizzati, immutabili, eterni. Il Napoli del triennio quindici-diciotto, ma anche quello di mazzarriana memoria, scavando un po’ nei ricordi recenti, è un riparo felice in cui la mente rifugge. Dal calcio, dal momento di fisiologica difficoltà in cui si è incastonata la squadra attuale. E da un mondo che offre poche prospettive e pochissime vie di fuga in ogni sua sfaccettatura.

Ma la realtà è uno schiaffo che a volte fa malissimo: il Napoli ha bisogno d’altro, verosimilmente di un nuovo corso intrapreso da e con volti completamente inediti. Non sarà l’estate della restaurazione a salvare l’integrità del progetto. D’altronde Sarri viene da due esperienze complesse e anche se dovesse tornare in sella non avrebbe la bacchetta magica. D’altronde Hamsik va per i 34 ed è appena rientrato in Europa dopo due anni a livelli bassissimi in Cina (45 presenze e 5 goal). Benitez e Mazzarri sono fuori dal giro che conta da anni, Albiol sta svernando (seppur bene) in Spagna e Cavani sta valutando di terminare la carriera in Argentina.

Insomma, il tempo passa e bisogna adeguarsi anche al cambiamento, all’idea dell’ignoto: l’isola felice resterà tale anche se non ritornerà, nel concreto. L’estate si modellerà nel segno dell’austerity: monte ingaggi ridotto, addii illustri. Guai però a toccare le utopie e i ricordi: sono quelli che salvano un uomo e lo tengono a galla nel caos di tutti i giorni. Ma è importante non farci caso, perché “devi gettare il passato dietro di te, prima di andare avanti” (Forrest Gump). Alla fine del giorno è pur giusto sognare, prima di affrontare quella coltre di nebbia e farsi forza tra i problemi di un futuro incerto.

Vittorio Perrone

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