Ai microfoni del Passepartout Festival dello scorso sabato, il presidente Aurelio De Laurentiis ha rilasciato una serie di dichiarazioni: dalla Superlega alla situazione societaria della sua società, passando per il premier Draghi, De Luca e Maradona.
Questo post in breve
- 1 Sulla superlega:
- 2 Il patron è tornato anche a parlare del premier Draghi:
- 3 Anche su De luca:
- 4 Polito ha parlato del modello Napoli di De Laurentiis nominandolo migliore di quello della città. Che cosa ne pensa?
- 5 In città ha trovato schieramenti a suo favore ?
- 6 Cosa cambierebbe per prima cosa a Napoli?
- 7 Lei sta distruggendo lo Stato.
- 8 Ha avuto un guru, un modello da seguire ?
- 9 È vero che suo padreha incentivato il suo rapporto con Napoli?
- 10 Lei è molto amico di Carlo Verdone.
- 11 Come vede il cinema nei prossimi anni?
- 12 Cosa rappresenta Maradona da convincere Pennac a realizzare uno spettacolo ?
- 13 Come va con il Bari ?
- 14 C’è un Re a Napoli, oggi ?
- 15 Com’è il suo rapporto con i giornalisti ?
Sulla superlega:
«La Superlega è figlia del fatto che le organizzazioni del calcio, le istituzioni, pensano di fare loro gli istituzionalisti con i soldi nostri, con i nostri investimenti. Che frutti ha un Real Madrid, una Juve, un Napoli a fare la Champions indebitandosi per poter fatturare 70-80-90-100 milioni in più se se ne sono spesi 200-300? Non quadra. Io faccio parte dell’Eca, ho sempre detto ad Agnelli che stava sbagliando con la Superlega perché loro volevano diventare gli attori principali del sistema, ma invece democraticamente bisogna lasciare la porta aperta a tutti. Dobbiamo stabilire un’altra competizione scindendola dalla Uefa, tenendola come segretariato generale, dando noi alla Uefa un x% sugli introiti e non facendoci pagare dalla Uefa. Io adesso ho 18 calciatori del Napoli in giro per campionati europei: se qualcuno si rompe e non mi torna sano per sei mesi, chi mi ripiana quei 100 o 50 milioni? La Uefa? No, e io perché ho dovuto prestare il mio calciatore? Per prendere degli spiccioli? Tu fatturi 3 miliardi e mezzo in 15 giorni? Allora ti devi sedere a tavolino e dobbiamo rivedere la situazione. Agnelli, Perez e gli altri hanno sbagliato ma non a dichiarare che il calcio è diventato fallimentare per colpa delle istituzioni. Gravina, persona rispettabilissima, ha annunciato grandi cambiamenti, ma come mai sono due anni e mezzo che sta lì e non ha fatto abolire la legge 91 che è di 40 anni fa? Perché non ha fatto abolire la legge Bossi-Fini sulla libera circolazione degli extracomunitari che costerebbero di meno e agevolerebbero le squadre meno importanti, che è del 2001? Perché non ha dato un calcio alla legge Melandri? Il calcio cambia, va modificato di anno in anno, è questo che non si vuol capire. Loro rispondono da istituzionalisti. Le loro risposte sono sempre sì, no, va bene vediamo, ci pensiamo».
Il patron è tornato anche a parlare del premier Draghi:
«Di Draghi ho già parlato a marzo dell’anno scorso, a Radio Capital. Mi aveva fatto i complimenti dopo la vittoria del ricorso contro la Juventus. Pur essendo juventini, quelli della radio mi chiesero che ne pensassi. Dissi che era un gentiluomo, un amico e quello che ci vorrebbe in Italia. Non bisogna solo avere i famosi 250 miliardi del Recovery, bisogna riuscire a indebitarsi per migliaia di miliardi, aprire cantieri, unificare un territorio che non è mai stato unificato. I problemi dell’Italia sono la malavita organizzata, che lo Stato non riesce a sconfiggere, e la mancata unità del territorio. Napoli era capitale nel ‘600 e nel ‘700, era una capitale europea terza solo a Parigi e Londra e da lì molti venivano a Napoli. Napoli nel ‘700 aveva il sistema fognario, pensi che ci sono alcune città in Sicilia che lo hanno avuto solo un decennio fa. Napoli è stata la prima nel mondo ad avere l’acqua corrente nelle case.
Non voglio diventare un borbonico ma Cavour è stato un gran paraculo a mandare Garibaldi a fare manfrina con la mafia in Sicilia per poter fare l’Italia unita. La ricchezza dei Borboni a Napoli era infinita, loro si sono portati via tutte le riserve d’oro e l’unificazione non è più avvenuta sul piano territoriale. Quando ho visto l’Italia giocare e i calciatori cantare tutti insieme l’inno, rispetto ai turchi, con passionalità, mi ha fatto piacere. Al Sud non si sono mai fatte opere su scuole, infrastrutture, manca tutto.
Se io fossi un politico inizierei eliminando i sindaci dalle città, perché non sono capaci di gestire la res publica dal punto di vista imprenditoriale e manageriale. Se si danno 9mila euro lordi al mese a una persona, quella ruba o sta lì per fare la carriera politica a Roma. Non sono capaci. Si rende conto di cosa significa amministrare una città? O si è un genio o un impostore, e poiché sono contro gli impostori dico che per Napoli dovremmo prendere il miglior manager tedesco. Infatti a Capodimonte abbiamo un bravissimo gestore francese, formidabile, straordinario. I cittadini che ne sanno di gestione di res publica? Finiscono per votare il colore politico per cui tengono, a parte i brogli che ci sono sempre stati. Ci vorrebbe una commissione di saggi di 20 persone che scelgono l’amministratore più giusto».
Anche su De luca:
Con De Luca ho un buon rapporto perché andai a Salerno per motivi cinematografici quando ancora non mi interessavo di calcio. La trovai bellissima e ne volli conoscere il sindaco. Per quanto De Luca possa essere contestato da qualcuno, è una persona che ci mette sempre la faccia e sta sul pezzo. Bisogna prendere una decisione: se siamo in ritardo di un secolo, se non decidiamo, quando recuperiamo? La sua gestione è una gestione ingiudicabile, come è ingiudicabile tutto il territorio italiano, visto che da due anni c’è il Covid, che è come una terza guerra mondiale anche se meno cruenta. Mi angosciano i bambini e i giovani, le scuole e i professori non all’altezza, i professori sottopagati e pochi numericamente, gente che non ha girato il mondo e non sa cosa insegnare a questi ragazzini.
Polito ha parlato del modello Napoli di De Laurentiis nominandolo migliore di quello della città. Che cosa ne pensa?
«Sono arrivato a Napoli che non la conoscevo, perché la mia famiglia era napoletana, ma non conoscevo la trasformazione dei napoletani, che si erano un po’ avviliti, intristiti, abbandonati. Qualcuno mi diceva di non farlo, decisi di fare di testa mia. Sono un visionario, ma non un pazzo. Nella baia di Napoli ci sono una serie di yacht alla fonda ma non si possono tuffare in acqua perché l’acqua è una merda. La gente usa i porti di Fondi e Civitavecchia perché il fondale del porto di Napoli è troppo basso. Ho dato tante idee. Ci vogliono vent’anni per fare una metropolitana. Perché De Luca è antipatico ai politici? Perché è un uomo del fare e chi fa diventa sgradevole perché per fare a volte devi sfanculare e questo alla gente non piace. Io lo posso fare perché non ho cadaveri nell’armadio, molti stanno zitti perché ce li hanno».
In città ha trovato schieramenti a suo favore ?
«Mio padre era un grande filosofo e diplomatico, laureato in lettere, giurisprudenza, filosofia, era molto amico dei russi. Diceva sempre: tu Aurelio sei un guerriero. Io dicevo sì, mi piacerebbe essere un cavaliere della tavola rotonda. Purtroppo la gente è provocatrice e questi tornei cavallereschi si trasformano in vere battaglie, ma io non mi stanco mai. Mi porto dietro pochissime persone. La gente ti dice che hai ragione, ma poi scende nel compromesso perché è più facile».
Cosa cambierebbe per prima cosa a Napoli?
«Convincerei lo Stato a prendere misure importanti sul piano delle infrastrutture. C’è una grande cultura qui a Napoli, anche cultura di strada, che non va abbandonata, ma mutuata come attrattore sui visitatori. Alla città manca una classe dirigente con le palle, che abbia coraggio, e il coraggio viene se hai dei miliardi da investire. Il problema riguarda tutto il Sud. Se per andare a Reggio ci metto 5 ore e posso morire perché mi lanciano i sassi, vuol dire che il territorio non funziona. Se ancora stanno facendo la ferrovia per Bari su un progetto del 2011… Ha mai parlato con un soprintendente? Ce ne sono alcuni straordinari e colti, ma quando sento che a Firenze c’è un signore come Commisso che ha già speso milioni e lo stadio non glielo fanno toccare perché è un monumento… ma monumento cosa? La gente ogni giorno è vessata e vuole andare allo stadio per sfogare e tu gli impedisci di modernizzarlo perché non si può toccare? La sovrintendenza è molto burocratica e politicizzata quindi magari è contro Commisso perché è americano e rappresenta un potere da annientare».
Lei sta distruggendo lo Stato.
«Certo, perché lo Stato è perdente, vince perché siamo tutti silenti e non reagiamo. Ci siamo accontentati della tv, della lavatrice, poi è venuta l’amante, poi ci siamo addormentati, non siamo capaci di prendere i figli a calci in culo e buttarli fuori casa, io i miei li ho buttati fuori a 18 anni. Ci sono due schiere di personaggi: gli imprenditori che fanno impresa e poi i prenditori, che sono la maggior parte, manovalanza negativa, non creativa. Vorrei che lei mi seguisse per un mese e vedesse come si affrontano i problemi dall’avere l’idea di un film a realizzarla, tra ricerca degli attori, dei registi, fare il budget, in Italia e nel resto del mondo».
Ha avuto un guru, un modello da seguire ?
«Ho avuto due mentori: uno è l’umiltà, che pure essendo figlio e nipote di, a 19 anni alle 4 del mattino caricavo i camion aiutando macchinisti ed elettricisti sul set prima di passare nel mondo della produzione creativa e distributiva. Dovevo imparare, stavo andando all’Università, avevo bisogno di lavorare. L’altro mentore è stato il vero amico incontestabile e senza pretese di riscontro è stato mio padre».
È vero che suo padreha incentivato il suo rapporto con Napoli?
«Papà è andato via da Napoli negli anni ’30 per andare in Bulgaria e fondare un giornale. Mio zio Dino, che invece non aveva voglia di studiare, veniva mandato al Nord a riscuotere le cambiali dell’industria della pasta. Mio nonno lo vide arrivare dicendo che non gli piaceva quel lavoro, che voleva fare l’attore. Allora lo mandò a Roma al centro sperimentale, gli disse che se entro un anno non avesse avuto successo sarebbe dovuto tornare in azienda. Dino ci andò, ma come attore non ebbe successo, capì che il suo futuro era dietro la macchina da presa. Quando Mario Soldati fece due film importanti sul Lago di Como, Dino illuminò tutto il lago su Piccolo mondo antico, anche se c’era l’obbligo di non illuminare, e divenne famoso. Ponti se lo chiamò e nacque la Ponti-De Laurentiis. Mio padre è sempre stato la parte intellettuale del gruppo. Quando Dino volle andare in America stufo della legge Corona, noi abbiamo ricominciato daccapo con Renato Pozzetto. Pensi la vision di mio padre».
Lei è molto amico di Carlo Verdone.
«Con Verdone c’è un’esclusiva che va avanti dal 2002, un’intesa profonda perché Carlo è un grande professionista, grande autore e grande amico. Mi diverte moltissimo perché è uno che anche sul piano della medicina sa tutto, è un malato immaginario, si inventa le cure, ha la pasticca per respirare, quella per fare pipì. Ci prende. È anche un po’ permaloso, quando lo prendi in giro su questo».
Come vede il cinema nei prossimi anni?
«Bene, perché vedo bene l’industria dell’audiovisivo. Se poi parliamo del cinema nelle sale lo vedo meno bene. E io ho le sale cinematografiche. Pur essendo un esercente non sono mai andato d’accordo con l’esercizio. Si sta alimentando la pirateria. Non si può immaginare. In America si spendono 50-60 milioni di dollari di pubblicità per il primo weekend di uscita, rincretinisco il mondo con la pubblicità. È antidemocratico non dare la possibilità a tutti di vedere un’opera dell’ingegno come un film. Ho detto che in parallelo bisogna uscire in televisione, mettendo un prezzo virtuale più alto del cinema, in modo che l’esercente cinematografico non si veda discriminato. Ho detto: prendiamo lo 0,50% dell’incasso e lo diamo all’esercente per limitare le perdite. L’ho sempre detto. Ci è voluto il Covid per iniziare a farlo. Le serie tv sono diventate così importanti perché sono film che durano 10 ore e possono sviluppare i secondi e terzi personaggi».
Cosa rappresenta Maradona da convincere Pennac a realizzare uno spettacolo ?
«Maradona è stato unico e irripetibile. La fortuna e la sfortuna è che lo hanno avuto i napoletani. I napoletani non hanno capito che con un calcio malato e viziato dalle istituzioni non si può sempre vincere lo scudetto. Maradona gli ha portato due scudetti perché era un angelo del paradiso e della morte messo insieme. Faremo una serie tv in tre stagioni sulla storia del Napoli, la prima dal 1984 al 2001, dove c’è Maradona. La stessa operazione fatta sulla pallacanestro, con interviste a chi ha giocato in quel Napoli, ci saranno 150 intervistati calciatori e la storia del Napoli, con le partite e ciò che ci è stato dietro, in 10 puntate. Poi la storia del Napoli dal 1924, prima della sua nascita, con la storia del ciuccio, fino al 1984. Questa sarà la seconda stagione. La terza stagione saranno i 17 anni della mia presidenza».
Come va con il Bari ?
«Siamo entrati nel mondo dei gelati, delle costruzioni, delle automobili. Purtroppo sono un po’ bulimico sul piano della mia attività creativa. Quando mi viene un’idea sono attratto come con un’amante da accontentare. Il Bari è nato perché De Caro, del Pd di Bari, è un mio amico, mi ha chiamato e mi ha chiesto di interessarmene quando è fallito, visto che lo avevo fatto con il Napoli. Mi aveva chiesto un paio di pagine con la mia idea, me ne sono venute 30, e lui mi ha bombardato per prendere il Bari. Allora l’ho proposto a mio figlio, che però mi disse che del calcio non voleva sapere nulla. Poi dopo due ore mi disse che aveva cambiato idea. Disse: in fondo calcio e cinema sono nel nostro Dna, se tu mi lasci fare dopo che hai avviato la cosa va bene. Lo rassicurai e così è stato e oggi è contentissimo. Se la gente sa fare io la lascio fare. Intervengo e non mi vergogno di farlo solo quando la gente non lo sa fare. Puoi fare anche lo scopino, ma devi essere il primo della città per trarne appagamento».
C’è un Re a Napoli, oggi ?
«La simbiosi della città con tutto ciò che è bello, commestibile, mangiabile, odorabile, touchable. A Napoli c’è tutto questo. Napoli ce la può fare, ma non è Napoli, ripeto, è l’Italia che ce la deve fare, che è seduta ancora su se stessa, impaurita. Il Covid gli ha dato un bello schiaffone, mi auguro che l’abbia svegliata. Andate a votare, dico a tutti, e quando si vota nel weekend incazzatevi sapendo che andrete fuori, lo fanno apposta. Dobbiamo arrivare al 95% dei votanti, la res publica è nostra, è vostra, ma se la lasciamo gestire a degli idioti che se ne approfittano, penseranno di noi che siamo dormienti e che ci accontentiamo di un bicchiere di vino, di un’automobile e di un’amante. Ma non è così. Il Covid ci ha dato una sferzata che mi auguro che diventi trasformabile in positivo. Ormai anche i social sono abitati da gente che sono sa quello che dice. Poiché la gente legge sempre meno i giornali, perché sono in decadenza…».
Com’è il suo rapporto con i giornalisti ?
«Io non ce l’ho a morte con i giornalisti. Le mie conferenze stampa sono animate perché fanno delle domande del piffero. Non è che non le voglio sentire, è che sono banali. Io li chiamo i pennivendoli, perché quando lei legge quello che c’è scritto sul Corriere dello Sport, sulla Gazzetta, su Tuttosport, gli articoli sembrano fatti con la carta carbone, possibile che nessun ai si inventi qualcosa? Ti pare che mentre un calciatore sta nello spogliatoio a concentrarsi, che c’è Manolas che dice le sue preghiere, bacia i santini, un altro con le mani giunte verso il cielo, chi ha la palla scesa, il pisello a destra, arrivano loro con le telecamere e dicono di avere il contratto con Sky? Quando dico che il calcio non funziona, è perché siamo vecchi. A me danno del visionario, preferisco avere una vision. Purtroppo quando ha cominciato Sky, era una signora televisione, di stile anglosassone, fortissima, oggi se vede la Rai o Mediaset sono addirittura meglio, perché hanno imparato da quel modello e si sono migliorate. Hanno anche il coraggio di fare un programma controcorrente con Pio e Amedeo e arrivare quasi a farsi fare causa».