I vincitori non sono mai simpatici a qualcuno, questo è risaputo. Ma l’odio espresso in occasione della vittoria del Napoli – prima, durante e dopo – meriterebbe un’accurata analisi sociologica. Perché i napoletani hanno attirato tutto questo? Accusati per aver festeggiato, per aver riempito le strade, per essere stati a tratti eccessivi e spudorati, felici e incontenibili.
Gli italiani sono bravissimi ad applaudire ed emozionarsi per le favole altrui ed hanno un metro di giudizio sempre molto diverso rispetto a quello applicabile tra le mura amiche. “Bellissimo il muro giallo del Dortmund!”; “Che bella la favola del Leicester”; “I tifosi del Liverpool esempio di passione”; “Quanto è commovente la fede per il Boca?”. Si entra in Italia e scattano altre dinamiche: “Ma non avete un lavoro? Perché festeggiate ancora? Gli striscioni li avete fatti col reddito di cittadinanza? Invece di pensare ai problemi, tutto questo entusiasmo per il calcio?”.
La nuova forma di razzismo post-scudetto
Sarebbe davvero eccessivo definire tutto questo come una forma di razzismo? È davvero inopportuno parlare di un subdolo odio verso un popolo presente ovunque, coi suoi pregi e i suoi difetti? I numerosi “divieti di festeggiamenti” apparsi in tutta Italia devono far riflettere, anche perché non risultano precedenti a memoria. La violenza vista per le strade di Avellino, la strage evitata ad Udine, Varese, Salerno e tante altre Polaroid imbarazzanti.
Non si tratta di vittimismo, non è il tempo e non ce ne sarebbe modo. Tutto questo non è accettabile e il calcio non c’entra proprio niente: che mondo viviamo intorno a noi se basta così poco per far palesare questi pensieri e far cadere le maschere dell’ipocrisia?